La mafia mi rende nervoso
L’Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande a Isidoro Meli, autore del romanzo La mafia mi rende nervoso, Frassinelli ed.
Dedichiamo questo post a Paolo Borsellino, agli uomini della scorta, alle loro famiglie e a tutte e tutti coloro che hanno dato la vita per lottare contro la criminalità organizzata, auspicando nell’isolamento politico di certa gente.
Ringraziamo Isidoro Meli.
Innanzitutto, perchè la scelta di mescolare i generi e di utilizzare l’ironia per parlare di mafia?
Quello di mescolare i generi è un imprinting caratteristico delle persone della mia età, cresciute in piena epoca postmoderna. Buona parte del cinema, della letteratura e della musica degli anni ’80 e ’90 – buona parte di quella interessante – rielabora gli schemi e gioca con le aspettative del pubblico. Oggi, principalmente a causa di internet, il meccanismo è diventato più naturale. Non si tratta più di giocare con i generi, ma di scegliere di volta in volta il registro che si ritiene più efficace, senza preconcetti e senza meta-discorsi – che invece, negli ’80-’90, erano ingrediente abusato.
Per quanto riguarda l’ironia, si tratta di un suo sottogenere specifico: lo sfottò. Canzonatorio, adolescenziale, caldo. Ho scelto di usare lo sfottò per il calore e l’energia che aggiungono al testo.
Alla notizia del decesso di Bernardo Provenzano, alcuni hanno sostenuto che il 41bis fosse ormai esagerato, per una persona gravemente malata da tempo: qual è la sua opinione in proposito?
E’ una domanda semplicissima a cui rispondere, essendo io contrario allo strumento delle carceri. Credo che uno Stato debba basarsi su sistemi correttivi più umani e dunque più efficaci, o che quanto meno debba provarci: studiare la questione, porsi il problema che il carcere peggiora le persone, ed è un deterrente modesto.
Sulla legislazione antimafia non ho nulla da dire, essendo incompetente in materia. Immagino che certe norme abbiano avuto una loro efficacia. Se no le avrebbero cambiate, giusto?
Il protagonista del suo romanzo, Tommaso, è muto: il suo mutismo è simbolico?
No, o meglio non lo so. Quando l’ho reso muto non pensavo all’omertà. Durante una presentazione, un signore del pubblico ha sostenuto che il mutismo di Tommaso lo renda immune alla mafia. Perché la mafia comincia nel linguaggio. E se sei muto eviti il contagio. Che è una bella osservazione.
Quali sono i miti da scardinare quando si tratta di mafie?
Tutti. I miti non servono a niente. O meglio, servono sei vuoi darti all’epica, e di epica sulla mafia direi ce n’è già abbastanza.
Nell’introduzione si fa un elenco dei settori in cui la mafia è attiva: come si è infiltrata in tutta Italia, non solo al Sud?
Al sud, dalla mancanza dello Stato nel fornire i servizi essenziali per una comunità. Se non porti l’acqua ovunque, lo farà qualcun altro al posto tuo. E facendolo acquisirà potere. Se non garantisci la sicurezza di un territorio, la garantirà qualcun altro. E il territorio diventerà suo. Al nord, dalla legge del mercato. Se il mercato soffre per mancanza di liquidità, arriverà qualcuno con i liquidi, e si comprerà tutto quello che vuole.
Infine: dobiamo diventare cinici come Vittorio, l’altro personaggio-chiave della storia oppure c’è speranza?
Speranza che la mafia finisca? Finirà, o cambierà così tanto da finire, di fatto. Ma a quel punto? Sarà la fine dei nostri problemi? Dietro la mafia c’è il vuoto che ho descritto prima. Se il vuoto non viene colmato in tempo, se non si creeranno le condizioni per fare crescere una comunità, siamo punto e accapo.