Il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato il testo della Dichiarazione sul diritto alla pace
a cura del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università degli Studi di Padova
Il 24 giungo 2016, dopo sei anni di lavoro, il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite[1], riunito a Ginevra per la 32° sessione, ha adottato con 34 voti a favore[2], 9 contrari[3] e 4 astenuti[4] una risoluzione con cui approva il testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite “sul diritto alla pace”[5] e dispone che sia tramesso all’Assemblea Generale per la definitiva approvazione. L’Italia non ha partecipato al voto non essendo attualmente membro del Consiglio.
Il testo approvato riproduce sostanzialmente quello presentato dal Presidente-Rapporteur, Ambasciatore Christian Guillermet Fernandez (Costarica), alla terza sessione dell’apposito Gruppo di Lavoro Intergovernativo (IWG) il 24 aprile 2015. Di nuovo c’è l’art. 4 che fa riferimento all’educazione alla pace e che nell’originario testo dell’Ambasciatore Guillermet era nel preambolo. Di seguito il testo del dispositivo della Dichiarazione:
Article 1
Everyone has the right to enjoy peace such that all human rights are promoted and protected and development is fully realized.
Ognuno ha il diritto di godere la pace in modo che tutti i diritti umani sono promossi e protetti e lo sviluppo è pienamente realizzato.
Article 2
States should respect, implement and promote equality and non-discrimination, justice and the rule of law and guarantee freedom from fear and want as a means to build peace within and between societies.
Gli stati devono rispettare, implementare e promuovere l’eguaglianza e la non discriminazione, la giustizia e lo stato di diritto e garantire la libertà dalla paura e dal bisogno quali misure per costruire la pace dentro e fra le società.
Article 3
States, the United Nations and specialized agencies should take appropriate sustainable measures to implement the present Declaration, in particular the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization. International, regional, national and local organizations and civil society are encouraged to support and assist in the implementation of the present Declaration.
Gli Stati, le Nazioni Unite e le agenzie specializzate, in particolare l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura devovo assumere appropriate misure sostenibili per implementare la presente Dichiarazione. Le organizzazioni internazionali, regionali, nazionali e locali e la società civile sono incoraggiate a prestare supporto e assistenza nell’implementazione della presente Dichiarazione.
Article 4
International and national institutions of education for peace shall be promoted in order to strengthen among all human beings the spirit of tolerance, dialogue, cooperation and solidarity. To this end, the University for Peace should contribute to the great universal task of educating for peace by engaging in teaching, research, post-graduate training and dissemination of knowledge.
Saranno promosse le istituzioni internazionali e nazionali di educazione per la pace al fine di rafforzare fra tutti gli esseri umani lo spirito di tolleranza, dialogo, cooperazione e solidarietà. Per questo scopo, l’Università per la Pace deve contribuire al grande compito universale di educare per la pace impegnandosi nell’insegnamento, nella ricerca, nella formazione postuniversitaria e nella disseminazione della conoscenza.
Article 5
Nothing in the present Declaration shall be construed as being contrary to the purposes and principles of the United Nations. The provisions included in the present Declaration are to be understood in line with the Charter of the United Nations, the Universal Declaration of Human Rights and relevant international and regional instruments ratified by States.
Nulla della presente Dichiarazione sarà interpretato in senso contrario agli obiettivi e ai principi delle Nazioni Unite. Le disposizioni contenute nella presente Dichiarazione devono essere intese in linea con la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e i pertinenti strumenti internazionali e regionali ratificati dagli Stati.
La decisione ha colto di sorpresa quanti hanno seguito con attenzione fin dall’inizio la vicenda di questo processo normativo (standard-setting), in particolare il mondo delle organizzazioni non governative. Infatti, era in calendario ufficiale l’effettuazione di una quarta sessione dell’IWG fissata dall’11 al 15 luglio 2016, e il 16 giugno un cartello di ben 700 ONG aveva promosso al Palais des Nations un ‘evento parallelo’ (side event) rispetto alla sessione del Consiglio allo scopo di presentare ulteriori considerazioni e proposte per il testo della Dichiarazione.
La decisione del Consiglio si spiega probabilmente con la diffusa consapevolezza che i lavori dell’IWG si sarebbero prolungati all’infinito a causa della costante, pregiudiziale opposizione soprattutto di stati occidentali, con in prima fila gli Stati Uniti d’America e i membri dell’Unione Europea, e che la pur lodevole determinazione del suo Presidente-Rapporteur nel perseguire ad oltranza l’obiettivo del ‘consenso’ di tutti, come dire dell’unanimità quanto meno di facciata, non avrebbe sortito alcun risultato. In particolare questa scelta di sostanza, più che di procedura, aveva contribuito a non dare seguito all’iniziale bozza di Dichiarazione[6] elaborata nel 2012, su richiesta del Consiglio[7], dal suo Comitato Consultivo, composto di esperti indipendenti.
Un’ulteriore spiegazione sta nella particolare abilità profusa dall’attivissima Ambasciatrice di Cuba, Signora Anayansi Rodríguez Camejo, nello sfruttare il clima di larga soddisfazione creatosi a seguito della firma a Cuba, il 23 giugno 2016, dell’accordo di pace tra il Governo di Colombia e i rappresentanti delle FARC.
L’iniziale rigetto del corposo testo elaborato dal Comitato Consultivo del Consiglio e le proposte riduttive presentate dal Presidente-Rapporteur nelle tre sessioni dell’IWG, con la rinuncia dello stesso Guillermet all’eventuale prosieguo del suo mandato, avevano portato ad una situazione di stallo. Al termine della terza sessione (aprile 2015) era in forse la stessa sopravvivenza dell’IWG, ma il Consiglio con Risoluzione del 1° Ottobre 2015[8] stabiliva che l’IWG dovesse riprendere i suoi lavori con una quarta sessione da tenersi nel 2016. La Risoluzione fu approvata con 33 voti a favore, 12 contrari, 2 astenuti[9].
Il fronte del no, pervicacemente espresso dai paesi occidentali, nasconde vischiosità ideologiche che risalgono molto indietro nel tempo. Questo emerge chiaramente dai resoconti dei lavori del IWG: per motivare l’opposizione si rievocava anche il propagandismo pacifista di Stalin e adepti … In particolare gli Stati Uniti d’America sostenevano che non si dovesse parlare di diritto alla pace perchè di questo non c’è traccia nel vigente diritto internazionale. Argomento palesemente pretestuoso se si considera che, nella sostanza, tale diritto esiste (si veda l’articolo 28 della Dichiarazione Universale) e che con la nuova Dichiarazione lo si vuole appunto rendere esplicito.
E’ il caso di ricordare che qualora la pace sia esplicitamente riconosciuta come diritto della persona e dei popoli, essa fuoriesce (si libera) dall’abbraccio mortifero delle sovranità statuali armate per entrare nella sfera di garanzia dei diritti e libertà fondamentali, la cui radice sta nella dignità umana incarnata nel supremo diritto alla vita. Tra i pregiudizi degli occidentali c’era anche quello nei confronti del forte attivismo politico-diplomatico di Cuba. Stupisce al riguardo che non si sia preso atto con favore dello ‘sdoganamento’ della stessa Cuba da parte degli Stati Uniti.
Proprio per i paesi occidentali sarebbe stata l’occasione di asserire con forza che la pace è un diritto individuale e collettivo comportante precisi obblighi per gli stati a cominciare dal disarmo e dal governo dell’economia mondiale nel rispetto dei diritti economici e sociali alla luce del principio della interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani. Tra l’altro, si sarebbe così evitato ai difensori dei diritti umani di dover appoggiare un testo di Dichiarazione che tra i suoi proponenti annovera rappresentanti di regimi non democratici.
Ci domandiamo anche, forse ingenuamente, perché gli stessi paesi promotori della Risoluzione, una volta deciso di scartare la via del ‘consensus’ e andare al voto palese, non abbiano osato di più riprendendo se non l’intera bozza di Dichiarazione preparata dal Comitato Consultivo, quanto meno il testo dell’art. 1 che riportiamo integralmente:
“Gli individui e i popoli hanno diritto alla pace. Questo diritto deve essere realizzato senza alcuna distinzione o discriminazione per ragioni di razza, discendenza, origine nazionale, etnica o sociale, colore, genere, orientamento sessuale, età, lingua, religione o credo, opinione politica o altra, condizione economica o ereditaria, diversa funzionalità fisica o mentale, stato civile, nascita o qualsiasi altra condizione.
Gli Stati, individualmente o congiuntamente, o quali membri di organizzazioni multilaterali, sono controparte principale del diritto alla pace.
Il diritto alla pace è universale, indivisibile, interdipendente e interrelato.
Gli Stati sono tenuti per obbligo giuridico a rinunciare all’uso e alla minaccia della forza nelle relazioni internazionali.
Tutti gli Stati, in conformità ai principi della Carta delle Nazioni Unite, devono usare mezzi pacifici per risolvere qualsiasi controversia di cui siano parte.
Tutti gli Stati devono promuovere lo stabilimento, il mantenimento e il rafforzamento della pace internazionale in un sistema internazionale basato sul rispetto dei principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e sulla promozione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali, compresi il diritto allo sviluppo e il diritto dei popoli all’autodeterminazione”.
La Dichiarazione approvata dal Consiglio mantiene il titolo “Diritto alla pace” originariamente fissato dallo stesso Consiglio ma che gli irriducibili avversari avrebbero voluto cancellare. Questo è un elemento che aiuta a interpretare lo scarno dispositivo dell’atto alla luce del paradigma dei diritti umani.
L’art. 1 stabilisce che il diritto è di ‘ciascuno’: non alla ‘pace’, bensì a ‘godere la pace’ (to enjoy peace). Il diritto degli individui è dunque collegato al verbo, non al sostantivo com’era invece nell’originario testo del Comitato Consultivo. Titolari del sostantivo, nella tradizionale forma dello ius ad pacem, rimarrebbero pertanto gli stati, il cui concetto di pace è quello di ‘pace negativa’ all’insegna di: si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Gli individui (e i popoli) avrebbero quindi il diritto di godere di una pace ‘interstatuale’ che, in quanto tale, manterrebbe il tradizionale collegamento con lo ius ad bellum. Ma l’articolo 2 scarta questa possibilità di continuare ad accettare l’indissolubilità dei due tradizionali attributi di sovranità degli stati e ci fornisce elementi per identificare i contenuti della pace positiva: gli stati “devono rispettare, implementare e promuovere eguaglianza, non discriminazione, giustizia e stato di diritto, libertà dal bisogno e dalla paura quali mezzi per costruire la pace nelle e tra le società”.
L’ampio e corposo preambolo della Dichiarazione esplicita il concetto di pace positiva, riconducendo tutto all’area dei diritti umani e dello stato di diritto. All’inizio del preambolo c’è infatti il richiamo puntuale alla Carta delle Nazioni Unite e alle fonti primarie del diritto internazionale dei diritti umani: Dichiarazione Universale, Patti internazionali rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali nonchè Dichiarazione di Vienna del 1993 e relativo Programma d’Azione. E c’è l’esplicito richiamo ai principi della Carta delle Nazioni Unite riguardanti il divieto dell’uso della forza e l’obbligo di risolvere pacificamente le controversie internazionali.
Il concetto di pace è chiaramente multidimensionale, comprendente anche gli aspetti economici: “pace e sicurezza, sviluppo e diritti umani sono i tre pilastri del sistema delle Nazioni Unite e le fondamenta della sicurezza collettiva e del benessere, fra loro interconnessi e reciprocamente rafforzantisi”.
Si sottolinea inoltre l’importanza dell’educazione per la pace e i diritti umani, richiamando sia la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani sia la Dichiarazione su una Cultura di pace. All’educazione, come già accennato, è dedicato l’articolo 4 del dispositivo, che fa esplicito riferimento all’obbligo di promuovere le istituzioni nazionali e internationali di educazione per la pace: l’ottica è dunque infrastrutturale.
Insomma, per capire il senso della Dichiarazione e operare nella direzione della pace positiva, occorre coniugare insieme preambolo e dispositivo e, naturalmente, utilizzare la proposta iniziale del Comitato Consultivo del Consiglio quale utilissimo sussidio prodotto in sede di lavori preparatori. Questa operazione interpretativa offre chiari elementi per definire il sostantivo ‘pace’ nel senso della pace positiva, cioè come dritto umano fondamentale ad un ordine internazionale e sociale in cui tutti i diritti enunciati nella Dichiarazione universale possono essere pienamente realizzati.
Quanto al peso politico dell’ampia maggioranza (34 a favore) con cui è stata approvata la Dichiarazione, si fa notare che ne fanno parte potenze del calibro della Cina, dell’India e della Federazione Russa, la cui popolazione rappresenta i tre quarti della popolazione mondiale. Anche di questo avrebbero dovuto tener conto i paesi occidentali, badando alla sostanza dell’atto più che alla morfologia geopolitica dei sostenitori della Dichiarazione. Il fatto che in questa maggioranza ci siano paesi i cui governi non brillano per il rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto, mette in risalto la scarsa intelligenza politica e la cattiva coscienza di quei governi che professano fedeltà a valori universali e allo stesso tempo primeggiano nel produrre ed esportare armi e scatenano guerre e interventi armati al di fuori della legalità internazionale. Senza dire che tengono poco conto dell’ampia mobilitazione di società civile per i diritti umani e la pace, la quale da voce alla coscienza morale dei popoli.
Ora il testo approvato dal Consiglio diritti umani passa all’Assemblea generale e in quella sede vedremo se la maggioranza aumenterà ulteriormente.
Una volta approvata dall’Assemblea generale l’efficacia della Dichiarazione dipenderà dalla diffusione della sua conoscenza e dall’impegno di tutti, a cominciare dagli stati, di riempire di contributi operativi gli scarni articoli del dispositivo. Insomma c’è spazio per lo sviluppo dell’effettività di norme che formalmente sono di soft law, cioè di obbligatorietà leggera (perché ‘raccomandazioni’ e non accordi giuridici in senso stretto), ma che nella sostanza contengono principi di ius cogens, cioè di altissima precettività. In questo contesto, sarà utile interpretare il testo della Dichiarazione avvalendosi anche di quanto contenuto nella originaria bozza del Comitato Consultivo, parte integrante dei valori preparatori.
La mobilitazione di società civile ha avuto rilievo particolare in Spagna e in Italia. In Spagna un’iniziativa importante è stata quella della Società Spagnola per il Diritto Internazionale dei Diritti Umani (SSIHRL), successivamente affiancata da Miguel Bosè e da altri artisti che hanno messo in rete una petizione “Right to Peace Now”[10].
In Italia l’iniziativa è partita dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova e dalla Cattedra Unesco Diritti Umani, Democrazia e Pace presso la stessa Università e si è avvalsa della collaborazione del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani. Sia dall’associazione spagnola sia dal Centro universitario di Padova sono state inviate al Consiglio diritti umani e al suo IWG riflessioni e proposte di carattere sostanziale per il testo della Dichiarazione.
Da segnalare, sempre in Italia, la pubblicazione di un numero speciale in inglese della Rivista Pace Diritti Umani/Peace Human Rights dedicato al Diritto alla pace. Il volume, redatto anche con la collaborazione dell’Amb. Guillermet Fernandez e del suo consigliere giuridico, David Fernandez Puyana, è stato consegnato a tutti i membri del Consiglio diritti umani (http://unipd-centrodirittiumani.it/it/pubblicazioni/Pace-diritti-umani-Peace-Human-Rights-2-32013/1094).
Caratteristica peculiare della mobilitazione in Italia è stata la partecipazione di centinaia di Consigli comunali e provinciali e di 5 Consigli regionali che hanno approvato la mozione preparata dal Centro Diritti Umani e dalla Cattedra Unesco Diritti umani, democrazia e pace dell’Università di Padova e l’hanno direttamente inviata ai membri del Consiglio Diritti Umani.
Da segnalare anche che una delegazione guidata dalla presidenza del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti umani e dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova, si è recata a Ginevra il 23 giugno 2014 per consegnare un dossier contenente le prime cento delibere di Comuni e Province.
Il 3 luglio 2014 è avvenuto l’incontro al Senato della Repubblica, con ampia partecipazione di Sindaci e rappresentanti di associazioni. Il dossier con le prime cento delibere è stato consegnato al Presidente della Commissione Diritti Umani, Luigi Manconi, e al Presidente del Senato, Pietro Grasso.
Questa mobilitazione ha avuto specifico rilievo il 19 ottobre 2014 durante la storica Marcia per la pace Perugia-Assisi. E sarà durante la prossima Marcia per la pace in programma domenica 9 ottobre 2016 nel 50° anniversario dell’adozione dei due patti internazionali del 1966 rispettivamente sui diritti civili e politici e si diritti economici, sociali e culturali, che il movimento per la pace e la nonviolenza potrà chiedere all’Italia e agli altri paesi membri dell’Unione europea di esprimersi in Assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore del riconoscimento della pace come diritto fondamentale della persona e dei popoli.