Chi ferisce, uccide
di Patrizia Angelozzi
Sul web e sulla carta stampata, titoli di richiamo morbosi. Dettagli scabrosi, a ‘tirare dentro i pensieri ‘ oscure vicende rese note in modo volgare e triviale. Un mondo, quello della comunicazione che troppo spesso mira a distruggere qualsiasi parte rimasta illesa rivolta all’onestà, alla positività, alla legalità.
Eppure esiste anche dentro un mondo malato, una parte di persone che nelle situazioni più complicate, vede, osserva, agisce. E’ il caso dei docenti che hanno trovato tra i temi in classe, vicende di stupri e violenza inaudita, che sebbene nella consapevolezza di vivere in un contesto omertoso, non hanno fatto passi indietro o ignorato.
Sono i docenti della ‘ragazza’ diventata conosciuta alle cronache, che dall’età di 14 anni è stata violentata da un gruppo per ben tre anni. Lo sapevano tutti, i responsabili, il paese, i genitori che per qualche strana modalità di protezione hanno taciuto.
Persone consapevoli di avere a che fare con ‘materiale umano’ da difendere e proteggere davvero. Allo stato attuale non risultano azioni di merito rivolte a questi insegnanti per aver superato il muro del silenzio. Eppure, loro il muro lo hanno buttato giù.
Così come non esistono regole sul web, diventato circuito che umilia, mortifica, amplifica anche dove, per buonsenso e logica, avrebbe dovuto ‘eliminare’ a prescindere un video compromettente di una donna che per motivi personali aveva scelto di registrare un filmato.
L’assalto mediatico, le parole di offese, diventate ferite sempre più profonde. Sono diventate cancrena, perdita di sangue, di identità, di libertà di esistere. L’unica scelta rimasta è stata il suicidio, trasformato in dibattito pubblico senza alcun ritegno. Senza un pensiero per i familiari, per Lei, per chi vicino a lei.
In questo profondo baratro, neanche nella morte, le è stato concesso il ‘riposo’.
Un richiamo alla deontologia, senza lasciare che passino di ‘porta in porta’, urla di dolore così forti rimaste nel silenzio di una realtà che nega, rinnega, punisce, decapitando la vita ancor prima che sia finita.
Il silenzio ferisce a morte chi subisce e non ha voce, chi nel terrore e nella vergogna, ogni giorno inventa un modo per sopravvivere.
Una pensiero a chi non c’è più, una speranza di ricostruzione a chi ha subito.
Senza nomi in grassetto, senza riportare dettagli, senza scavare nelle vite degli altri.
Senza fare silenzio e senza troppo chiasso. Per restare vivi e ricordare di essere umani e veri.