Como – Quello che non vedi non finisce
di Andrea Cegna (Milanoinmovimento.it)
Tende vuote, silenzio e poi il nulla. Il parco della stazione San Giovanni di Como è così da giovedì mattina. Nessuno sgombero di forze di polizia. L’abbandono del campo è stata la sola opzione posta davanti alla violenza con cui si è imposta l’unica soluzione possibile per decoro urbano e ordine cittadino: il campo istituzionale.
Pioggia, freddo, necessità di cibo, docce e bagni sono stati un ricatto formidabile per veicolare la scelta, transitoria, dei migranti. Si perché nel campo voluto dal Prefetto si può stare per un periodo, il periodo necessario a scegliere se chiedere asilo in Italia o tentare nuovamente il tiro di dadi dell’attraversamento della frontiera. Come dire un campo che sposta il problema dagli occhi di cittadini e turisti ma non genera risposta alla richiesta di centinaia di persone: continuare il viaggio.
Cinicamente si potrebbe anche accettare l’idea che occorra dare un ricovero dignitoso a chi non può proseguire il viaggio e non può farlo. Ma mentre si accetta la contraddizione si dovrebbe anche accettare di dare e concepire un campo dove i migranti possano decidere, possano costruire la loro permanenza, possano determinare e determinarsi e si possano autogestire. Un campo con regole stringenti e che concede solo il lusso di stare al suo interno e di mangiare, senza attività, senza possibilità di movimento e senza intrattenimento è una cosa utile solo ed esclusivamente a confinare i migranti fuori dallo spazio del confronto con la città.
Per due mesi il campo informale ha obbligato Como e i turisti, a scontrarsi con le regole europee, il Trattato di Dublino III, il dramma umano di centinaia di persone che scappano dalla guerra, dall’oppressione e dalla morte. Il campo ufficiale cancella questo scontro. Trasforma il problema in ghettizzazione, cancella le complessità del mondo dove si vive, e consegna una città governabile, pulita, sicura e pacificata agli occhi vigili di turisti e benpensanti.
Ma Como non potrà dimenticare facilmente le tante vite, che in molti non avrebbero voluto incontrare. Sono comparse a fine Giugno, quasi all’improvviso tracciando i contorni di una città di frontiera, che come ogni città di frontiera nell’Europa delle barriere deve aspettarsi che qualcosa accada. Quando tante vite, scoperte per caso, scompaiono improvvisamente lasciano un vuoto umano e sociale indescrivibile. I benpensanti festeggiano, tronfi delle loro piccole certezze.
Quelle vite non sono scoparse sono solo spostate un po’ più in la, in luoghi che la città non incrocia e così può evitare di interrogarsi.
Vite che parlano della violenza dei confini e delle regole europee.
Tanti sono tornati a Milano. Altri hanno provato a passare la frontiera e aspettano l’infame viaggio, su pullman Rampinini, verso Taranto, altri avranno fatto altre scelte. Alcuni, in parecchi sono andati al campo. Il campo ufficiale è già pieno, 305 registrati, per una capienza di 300 persone. Se si vuole dare uno spazio di dignità e d’occasione come ci si pone davanti al sovraffollamento?
La partita a Como non è finita, e non potrà finire finché non cambiano le regole del gioco. Abbattere le frontiere è giusto, ma non basta. Serve una proposta. Spendibile e comprensibile ai più. Perché l’urgenza è un mondo diverso, e una proposta politica radicale che sappia costruirlo.