Il secolo dei rifugiati ambientali – Report del convegno
Sabato 24 settembre 2016 si è tenuto, presso la sala conferenze di Palazzo Reale a Milano, il convegno intitolato “Il secolo dei rifugiati ambientali”, organizzato dall’europarlamentare Barbara Spinelli con il gruppo GUE/NGL della Sinistra Europea e curato da Daniela Padoan.
L’Associazione per i Diritti umani ha partecipato e riporta per voi stralci di alcuni interventi:
VITTORIO AGNOLETTO, Medico. Membro del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale
Gli accordi comemrciali tra la Ue, l’Africa, Caraibi e Pacifico prevedono che nessun Paese africano possa mettere dazi doganali sui prodotti agricoli fondamentali con il risultato che gli accordi di paternariato economico con l’Africa rendano ancora più poveri i Paesi del continente e di quelle aree del mondo.
L’Unione europea sta cercando di ottenere spropositati vantaggi da una delle zone più povere del mondo: i lavoratori che raccoglievano pomodori in Africa hanno perso il lavoro a causa del landgrabing quindi partono, arrivano in Italia e si ritrovano a raccogliere pomodori al Sud come schiavi. (Ricorda la campagna intitolata: L’AFRICA NON E’ IN VENDITA, http://www.timeforafrica.it/campagna-l-africa-non-e-in-vendita/).
Dalla fine del 2006, con la crisi del mercato azionario, si è verificata una crescita dei prezzi sui prodotti di base (cibo e derivati) e questo ha fatto aumentare anche il numero delle multinazionali presenti in Africa, ma anche in Ucraina , ad esempio, quindi sempre nei Paesi più poveri (dall’Etiopia, per fare un altro esempio, il grano viene esportato in Arabia Saudita).
Dal 2000 ad oggi le terre sono state acquistate per le esportazioni e sono oltre 44 milioni gli ettari di terre espropriate, per 1270 accordi commerciali e questi dati indicno solo una parte degli accordi conclusi. Tra le nazioni coinvolte c’è anche l’Italia con l’espropriazione di 1 milione di ettari in Africa; il landgrabbing è una delle cause principali di migrazioni interne e all’estero; chi rimane in patria, resta con un terreno a monocoltura per cui tutti gli altri prodotti agricoli di base devono essere acquistati dai paesi esteri a prezzi maggiorati. Ad esempio, la presenza italiana in Mozambico per la produzione di combustibili è massiccia, la Carta di Milano in occasione di Expo è stata un fallimento: tutto questo è una vergogna.
BARBARA SPINELLI, Europarlamentare
Le politiche commerciali sono affidate alla Commissione europea e questo ha reso tutto poco trasparente e staccato dagli studi che si stanno facendo in merito, per cui la Commissione ha perso credibilità.
FRANCESCA CASELLA, Survival, Movimento di tutela dei diritti dei Popoli indigeni
Quella dei rifugiati ambientali è una delle emergenze umanitarie più gravi e una delle più difficili da contrastare perchè esiste una morale plasmata da avidità e razzismo che ci induce a non impegnarci per evitare lo sradicamento, la privazione della libertà e la colonizzazione a danno dei popoli indigeni, attraverso il furto della terra e dei mezzi di sussistenza, ma anche della loro identitàOggi ci sono decine di leggi sui diritti umani che restano a livello di princìpi, ma non diventano pratiche attive.
Chi perde i mezzi di sostentamento in maniera diretta o indiretta? Dobbiamo parlare, infatti anche dei rifugiati della conservazione: sono coloro che restano nei propri Paesi d’origine. Sono sottoposti al maggior impatto del cambiamento climatico, ma l’impatto più significativo riguarda le nostre misure come, ad esempio, la produzione dei biocarburanti o la conservazione delle foreste, la creazione di aree protette. Molte zone, abitate da popoli indigeni e tribali, devono cambiare vita oppure trasferirsi altrove e, quando invece resistono, le conseguenze sono drammatiche: subiscono pestaggi, torture e persecuzioni. (In India si spara a vista contro gli indigeni per salvare dal bracconaggio tigri ed elefanti, ma gli indigeni stessi li hanno protetti per millenni perchè quelle sono le loro terre ancestrali).
Il consenso libero, previo e informato per un progetto di conservazione: questa potrebbe essere una soluzione, anche perchè è il diritto dei popoli indigeni che viene maggiormente disatteso, anche se sarebbe necessario e risulta essere obbligatorio secondo le direttive dell’ONU.
(Riporta il caso della Valle dell’OMO, in Etiopia, poi approfondito da Luca Manes. http://www.recommon.org/cosa-ce-da-nascondere-nella-valle-dellomo/)
MARICA DI PIERRI, Giornalista, Portavoce dell’Associazione A SUD e pres. CDCA, Centro Documentazione sui Conflitti Ambientali
L’etichetta “emergenza emigratoria” in senso figurato è appropriata, ma gli sfollati ambientali sono molti di più rispetto a coloro che fuggono a causa dei conflitti: 6 milioni di persone OGNI ANNO di persone e questo non si può chiamare “emergenza”, ma vero e proprio fenomeno storico.
I rifugiati ambientali appartengono a ceti poveri e spesso non possono migrare, restano nei propri Paesi d’origine subendo l’impatto gravissimo del cambiamento climatico e, comunque, le migrazioni sono per lo più interne, causate da calamità ambientali.
Bisogna distinguere il campo delle calamità dai progetti di sviluppo. Questi ultimi impattano maggiormente sulle popolazioni locali e sono l’insieme dei progetti e delle politiche voluti da noi europei/occidentali: le grandi dighe, le reti infrastrutturali, l’accaparramento delle terre, la gestione dei rifiuti e dei fossili.
La Banca Mondiale sostiene che, dalla metà del 2000 ad oggi, ci sono stati 15 milioni di profughi interni a causa di questi grandi progetti (in Cina e in India, ad esempio), invece secondo il Consorzio Internazionale del Giornalismo Investigativo, solo dal 2004 al 2014 i profughi sono stati più di 3 milioni. I grandi eventi – come le Olimpiadi, Miss Universo, il 500 anniversario della scoperta dell’America, per citarne alcuni – contribuiscono al traffico migratorio interno e questo fenomeno può essere un utile paradigma per una riflessione sull’ingiustizia economica e sociale.(E-book: http://sbilanciamoci.info/crisi-ambientali-migrazioni-forzate/)
Padre MUSSIE ZERAI, Attivista della diaspora eritrea, Pres. dell’Agenzia Habeshia e candidato al Premio Nobel per la Pace
L’Eritrea vive ancora sotto dittatura, è un Paese senza Costituzione per cui tutti i diritti dei cittadini sono sospesi; la scusa del governo è la guerra con l’Etiopia. I giovani eritrei sono sotto servizio militare permanente, sono stati chiusi i giornali indipendenti, c’è solo la tv di Stato, sono stati arrestati obiettori di coscienza, attivisti e intellettuali.
L’Europa – anche con iniziativa italiana e il processo di Khartoum – procede con il dialogo e i finanziamenti usati, in teoria, per lo sviluppo quando, in realtà, i giovani scappano per il conflitto iniziato nel ’97 e per la crisi dei diritti fondamentali e non a causa della crisi economica. L’Ue deve competere sul mercato con la Cina, in Eritrea e in tutta l’Africa, pur sapendo che la situazione dei diritti umani è grave: l’Italia, in particolare, ha un passato storico recente nel Corno d’Africa e deve tenere aperta un finestra tra l’Occidente e questi Paesi africani per motivi e interessi geopolitici.
I dittatori (in Eritrea, Ciad, Sudan, etc.) fanno gli interessi delle multinazionali estere e italiane e la Ue smentisce se stessa proprio facendo accordi con questi Paesi e questi regimi. Anche la Cooperazione internazionale è uno strumento per accaparrarsi le risorse africane: tutto per il business.
Le conseguenze sono: tratta di esseri umani, traffico di organi, oltre a quello che già sappiamo.
Inoltre: in Europa, per ottenere la cittadinanza, bisogna pagare e questo aumenta la guerra verso i poveri; si parla di fare una selezione dei migranti, accogliendo solo quelli più istruiti (l’operaio morto a Piacenza era un professore nel suo Paese), ma l’Europa ha bisogno di questi nuovi schiavi perchè fanno bene al mercato europeo. Basta prenderci in giro!
M.C. VERGIAT, Europarlamentare
Io grido contro il cinismo assoluto delle politiche europee.
Bisogna vedere la migrazione nel suo complesso, nello spazio e nel tempo. Il mondo è sempre più mobile, circolano persone e merci, ma questo non ha nulla a che vedere con la mobilità forzata. Gli Stati membri dell’Ue chiudono le porte, ma noi abbiamo bisogno di queste persone. Infatti, dietro alle parole dei politici e dei trattati, ci sono molta confusione efalsità; l’opnione pubblica viene spaventata, si gioca sulla paura e questa è una responsabilità del Parlamento europeo.
BENOIT MAYER, Professore associato Facoltà di Legge Università Cinese di Hong Kong
Parto dalla parola “scetticismo”: non esiste un rifugiato solo per questioni ambientali perchè ci sono diversi fenomeni concorrenti che rimandano a fattori economici, sociali e politici. Le persone vivono spesso in situazioni disagiate e il fattore ambientale si va ad aggiungere agli altri problemi già esistenti.
I rifugiati non sono protetti del tutto a livello internazionale: ad esempio, India e Cina non fanno parte della Convenzione oppure in Australia non vengono rispettate le norme. Invece dovremmo proteggere, senza distinzioni, tutti coloro che hanno bisogno di protezione e sono costretti, per diversi motivi, a migrare. Tutti hanno diritti in quanto esseri umani, anche i cosiddetti “clandestini”. Gli allarmismi sono inutili perchè la migrazione è solo una parte del problema in quanto molti non si possono nemmeno permettere di migrare e restano bloccati in loco, in una situazione difficile e pericolosa.
Ogni Paese ha la propria definizione di “rifugiato” e oggi parliamo dei rifugiati ambientali, ma forse alla fine del secolo arriveremo a capire tutti i migranti forzati vanno protetti.
GIUSEPPE DE MARZO, Coordinatore nazionale delle campagne sociali Miseria Ladra, Reddito di Dignità e (im)Patto Sociale per Libera-Gruppo Abele
I Diritti umani e il Diritto della Natura sono due facce della stessa medaglia: viviamo in stretta relazione con la Natura, ma in nome della civiltà si sottende che la terra sia inerme. Il sistema economico neoliberista si è espanso in maniera mostruosa e, all’interno dei conflitti ecologici distributivi, molte persone sono sfollate e molte sono rimaste senza desistere, lottando per il diritto alla terra. Ecco la relazione tra giustizia e sviluppo/sostenibilità.
Oggi è in atto un attacco fortissimo ai diritti umani perchè non c’è né equità e né giustizia; non esiste neanche l’economia sostenibile, per cui alcune politiche sono sbagliate come, ad esempio, quello che si chiama “razzismo istituzionale” che prevede di spostare i rischi e i costi sui lavortori deboli, sui neri, sui popoli indigeni. Tra distruzione ambientale e povertà/disuguaglianza c’è una relazione netta: noi mangiamo più di quello che la terra produce e il prezzo è oagato dai più poveri.
Una soluzione potrebbe essere la sostenibilità ecologica, modificando lo sviluppo a livello istituzionale e giuridico per arrivare ad una giustizia distributiva. La Natura stessa deve diventare un soggetto di diritto che pretende giustizia: non sfruttare la terra, non rovinare gli ecosistemi. Questi sono i princìpi da tutelare giuridicamente – come è stato fatto in America latina – per garantire i diritti umani. Bisogna partire da un’etica nuova, inserendo la giustizia ecologica nella Costituzione per il Bene comune.