“Stay human: Africa” – Il turismo della miseria
di Veronica Tedeschi
“Quando una città è inserita nella lista dell’Unesco non si dovrebbe cambiare nulla – spiega un abitante di Djenné, Mali – ma noi vogliamo più spazio, nuovi elettrodomestici, cose più moderne. Siamo scontenti”. Djenné, definito patrimonio dell’umanità, è una delle prime città oggetto del così detto “turismo della miseria”, che attrae viaggiatori da ogni parte del mondo, i quali, rimanendo a lato della povertà, osservano cittadini obbligati a congelarsi nel tempo a favore dei più curiosi.
La fantastica moschea presente a Djenné ha consentito a questa città di diventare patrimonio dell’umanità e, allo stesso tempo, porta tensioni in tutto il paese a causa di un dilagante pensiero di insoddisfazione; le persone vivono in situazioni di disagio evidente ma nulla viene modificato perché il turista viene attratto proprio da quello. Va di moda ormai questa abominevole pratica: visitare quartieri o città “al limite” con lo scopo semplicemente di dire – io ci sono stato, è spaventoso -.
Insieme a Djenné troviamo anche la città di Makoko, in Nigeria. Makoko è un quartiere di Lagos composto da sei villaggi distinti, quattro dei quali, detti galleggianti, nascono su esili palafitte direttamente sull’acqua puzzolente delle lagune. Le persone che vivono in questo grande quartiere sono tra le 100 e le 250.000, il numero non è chiaro neanche a loro. I giovani vivono raccogliendo terra; si immergono nelle acque delle lagune e trasportano in superficie secchi di sabbia che verrà poi venduta ai costruttori edili di Lagos. Piantano una scala sul fondo, scendono con il loro secchio e risalgono con un carico di sabbia che finirà diretto su altre imbarcazioni destinate alla città.
Makoko, pubblicizzata come “la Venezia dell’Africa” dal riprovevole turismo della miseria, è oltretutto poco accogliente per i bianchi a causa del clima particolarmente umido, delle condizioni di igiene e della malaria presente in tutto il Paese.
Lo stesso soprannome è stato dato anche alla città di Ganvié in Benin dove, allo stesso modo, la popolazione vive su palafitte in condizioni disastrose. Gli abitanti continuano ad aumentare, allargando sempre più profondamente le precarie palafitte che li ospitano. Le condizioni igieniche sono deplorevoli e l’età media della popolazione è molto bassa.
L’acqua del lago non è potabile perché salmastra e quindi l’unico rifornimento di acqua potabile avviene tramite due fontanelle dove gli abitanti vanno con le loro piroghe per riempire bidoni. Le acque reflue vengono sversate direttamente nel lago e l’unica disinfestazione efficace è assicurata dall’irraggiamento solare. Altro problema è l’assenza di energia elettrica che rende ancora meno vivibile tutto il quartiere.
Nonostante gli evidenti problemi, queste tre città africane, insieme a molte altre, attirano turisti europei in grande quantità che, rimanendo sulle loro piroghe affittate per due soldi, non osano avvicinarsi troppo sostando, anzi, distanti per poter osservare meglio. Restano immersi nel loro turismo della miseria, senza senso e senza rispetto per chi in quelle condizioni ci vive ogni giorno, non per il tempo di una vacanza.