“Scritture al sociale”: telecamere sì, telecamere no…
di Patrizia Angelozzi
In questi giorni il “via libera” dell’Aula della Camera alla proposta di legge che consente l’installazione di telecamere a circuito chiuso negli asili e nelle strutture socio assistenziali per anziani, pubblici e privati, per contrastare gli abusi sulle persone più indifese della società di cui troppo spesso le cronache danno notizia. Il testo è stato approvato a Montecitorio con 279 voti a favore, 22 contrari e 69 astenuti, ed ora passa al Senato.
Il pedagogista Daniele Novara in una lunga intervista al mensile Vita (www.Vita.it ), il mensile dedicato al sociale, al volontariato e al mondo del No Profit, boccia la legge appena approvata dalla Camera. La definisce “follia” . Il suo pensiero propositivo sta nel riformulare la formazione, ritenendo le telecamere una scorciatoia ed una anestetizzazione del personale che ne subisce la presenza.
Lasciarsi riprendere al lavoro? Essere costantemente controllati nelle azioni che si compiono in modo automatico? Potrebbe creare problemi a qualcuno che lavora con coscienza e professionalità?
Mentre un mondo parallelo si scandalizza per i controlli ritenuti ‘eccessivi’, davanti alla Tv in tanti si preparano a guardare programmi girati ‘nelle segrete stanze’ o per assurdo la morbosità di ‘certa’ informazione, che troppo spesso diventa incerta o inventata attraverso “Bufale mediatiche”.
In fondo, dopo le prime ore, le telecamere scompaiono nel dimenticatoio delle cose da fare…
Viviamo i giorni dell’abbandono e della solitudine, dello stress da lavoro usurante, definito burnout dagli addetti ai lavori, ovvero: “sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate”.
Ben vengano allora provvedimenti a salvare gli uni e gli altri, a privilegiare la vita, la crescita, il vivere sano di un disabile che prova a crescere mentre il bambino si cimenta nelle sue piccole e grandi conquiste.
Professionisti di settore ed il personale tutto di ambienti lavorativi di questi settori hanno bisogno, è vero, di ‘formazione’, augurandoci che diventi continua e stimolo di crescita per restare nei parametri della normalità e della salute mentale. Sono gli stessi professionisti a ‘chiederne l’utilizzo’, quelli che lavorano ed operano secondo deontologia.
Perché chi fa del male ad un bambino o adulto indifeso, non è una persona sana.
Giustissimo @Pat : chi opera bene, ed agisce in base alla legge in piena libertà di coscienza, non teme, e non dovrebbe temere, alcunchè !