Gli arresti di parlamentari e dei vertici del partito HDP segnano il punto di non ritorno dell’involuzione autoritaria voluta da Erdogan dopo il tentativo fallito di colpo di stato. In Turchia è la fine dello stato di diritto e delle libertà democratiche. Le regioni curde sono in stato di guerra sotto coprifuoco. Al confine con la Siria si spara sui profughi. Sono stati bloccati i social media e le manifestazioni dell’opposizione vengono represse nel sangue.
Il progetto del regime è ben definito dal suo agire. Da una parte l’AKP, il partito di Erdogan, si va sempre più configurando nella sua matrice nazionalista-islamista, per togliere consenso ai concorrenti nello stesso alveo di voti e garantirsi maggiore appoggio popolare. Dall’altra, la demolizione sistematica dei luoghi che hanno segnato la storia della nascita della Turchia laica di Ataturk, con tutte le sue contraddizioni (è recente l’avvio della demolizione del mausoleo e l’abbattimento degli alberi di Gezi Park per far posto a una moschea e a una caserma) si coniuga con il tentativo di estirpare l’HDP, partito composto da curdi e da esperienze della sinistra politica e sociale turca.
I due copresidenti dell’HDP, entrambi arrestati benché parlamentari (l’immunità è stata revocata con legge dello Stato ben prima del golpe, anche per reati di opinione) sono il simbolo di una Turchia diversa. La giornalista Figen Yüksekdağ (nella foto) è stata recentemente in Italia, ospite di Rifondazione Comunista, e ha incontrato giornalisti e parlamentari, tra cui il presidente del Comitato per la Tutela dei Diritti Umani Luigi Manconi, a cui ha di fatto predetto ciò che sarebbe avvenuto da lì a pochi mesi. Poi è ripartita per Istanbul, dove avrebbe dovuto attendere una coincidenza (aerea?) per Ankara. Confidava di poter rivedere casa, è stata invece arrestata in un’operazione di “controterrorismo”.
Il governo di Erdogan si è arrogato persino il potere di sostituire i giudici e gli avvocati durante i processi, quando la piega dei procedimenti non risulta gradita. Le ultime voci libere sono sul punto di essere ridotte al silenzio. Il fascismo turco sta assumendo una dimensione popolare che ricorda l’albore dei nazifascismi europei costruiti sul consenso di masse sempre più ampie. Lo sbocco di quell’esperienza storica fu la seconda guerra mondiale. Oggi la Turchia rischia di diventare la miccia capace di far deflagrare il conflitto globale già in corso. La Turchia, che rischia di precipitare nella guerra civile a causa delle scelte di Erdogan, è tuttora un paese in cui persistono fortissime diseguaglianze sociali. Ripetendo vecchi schemi anziché affrontare le cause del disagio generalizzato, si cerca il capro espiatorio nelle retoriche della sicurezza, nell’espansionismo verso un “impero ottomano”, nell’etnicizzazione dei problemi (non solo in chiave anti curda) e si invoca uno “Stato forte” che riporti l’antico ordine.
Ormai in Turchia si può davvero parlare di un contro golpe. Secondo i dati forniti nel corso dell’estate da Amnesty, dopo il tentativo fallito di putch del 15 luglio sarebbero stati emessi ordini di cattura nei confronti di 89 giornalisti, 40 dei quali sono stati arrestati. Da allora, il numero di coloro, volendo garantire libertà di informazione, hanno subito un simile provvedimento si è oltremodo ampliato. Il secondo decreto dello stato d’emergenza, dopo quello che aveva esteso da 4 a 30 giorni la detenzione preventiva, ha comportato la chiusura di 131 organi d’informazione, tanto che la libertà d’espressione già di per sé scarsa è oggi effettivamente uccisa, con l’alibi dell’“attentato alla sicurezza dello Stato” e dei “legami con il terrorismo”. Non è possibile dare dati definitivi, le chiusure di giornali e gli arresti indiscriminati degli oppositori si susseguono giorno dopo giorno, ed è prevedibile che da questa nuova ondata repressiva possano scattare a valanga ulteriori provvedimenti di privazione generalizzata di ogni libertà.
In base ai dati forniti da Amnesty, da quando Erdogan è tornato nel pieno possesso dei suoi poteri sono state uccise almeno 208 persone e ne sono state ferite oltre 1400. Sono state arrestate oltre 15.000 persone, e più di 50.000 sono state sospese o rimosse dal proprio incarico. Tra queste giudici, procuratori, funzionari di polizia. La situazione nei territori curdi è catastrofica, non si riesce neppure a stilare una lista dei nomi delle vittime. Decine i sindaci destituiti e tanti i paesi e le città in regime di occupazione militare. Ma la dittatura è calata su tutta la Turchia.
Nell’intero paese, oltre 1000 scuole private sono state chiuse e 138.000 alunni sono stati trasferiti nelle scuole di stato. I loro docenti sono stati licenziati, molti si sono visti ritirare il passaporto e altri – non diversamente da giudici e avvocati, nel mirino del governo – sono stati privati di tutti i beni. Secondo le informazioni raccolte da Amnesty, i detenuti in custodia di polizia a Istanbul e Ankara sono costretti a rimanere fino a 48 ore in posizioni che provocano dolore fisico, sono privati di cibo, acqua e cure mediche, insultati e minacciati e, in diversi casi, sottoposti a brutali pestaggi e torture, tra cui lo stupro. La Turchia ha sospeso la giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Erdogan non riconosce più i giudici della Corte di Strasburgo che da anni continuano a condannare la Turchia per violazioni dempre più gravi dei diritti umani. Il Consiglio d’Europa deve reagire a questa mossa liberticida e sanzionare la Turchia con la misura dell’esclusione immediata.
Quello che succede oggi in Turchia è anche conseguenza dell’indifferenza e della complicità dell’Unione Europea e dei paesi occidentali rispetto alle gravissime violazioni dei diritti umani che si verificano da anni in quel paese. I massacri ai danni della popolazione civile curda e gli arresti di giornalisti, docenti, avvocati e semplici cittadini che sono stati accusati di simpatizzare per il PKK sono stati ignorati da una comunità internazionale interessata solo a sfruttare la posizione strategica della Turchia nei tanti conflitti regionali che la circondano ed a esternalizzare i controlli di frontiera per delegare a Erdogan il compito di garante delle frontiere esterne dell’Unione Europea.
Intere regioni del territorio turco, ovunque abitino comunità curde, sono sottoposte da tempo a rastrellamenti e non si contano i casi di sparizioni forzate, torture e stupri da parte di squadre speciali o di elementi dell’esercito turco. Vittime di queste azioni sono tutte le minoranze etniche, politiche e religiose: iazidi, turcomanni, caldei, cristiani e chiunque appaia pericoloso agli occhi del sovrano.
Ai confini con la Siria, truppe che rispondono al governo di Erdogan hanno aperto il fuoco su profughi siriani in fuga dalle violenze dell’ISIS e dai bombardamenti di Assad. Di fatto, l’esercito turco fa parte dell’alleanza che in Iraq sta tentando di riconquistare la città di Mosul, non già per strapparla all’Isis ma perché, secondo il sogno di Erdogan, Mosul è città turca come lo è un’ampia fascia del territorio siriano. Un progetto espansionistico prima sostenuto dall’occidente e oggi non osteggiato dalla Russia, per cui la Turchia sembra non incontrare ostacoli. La grande Turchia potrebbe sorgere su questo spargimento di sangue, continuando ad essere un carcere a cielo aperto per chi fugge dalle guerre.
Già da tempo era impossibile considerare la Turchia un “paese terzo sicuro” verso cui respingere i richiedenti asilo e concludere accordi per contrastare quella che viene definita “immigrazione illegale”, tuttavia – ignorando quanto i media democratici turchi denunciavano da anni – si è concluso a tutti i costi un accordo tra Unione Europea e Turchia che adesso Erdogan mette all’incasso alzando il prezzo del ricatto e chiedendo l’abolizione dell’obbligo di visto per i cittadini turchi che intendano recarsi in Europa.
Viene rivendicata la libertà di circolazione in Europa per i cittadini turchi, al centro degli accordi del 18 marzo scorso con l’Unione Europea, in cambio del fermo dei siriani, mentre vengono revocati migliaia di passaporti a persone che sono soltanto sospettate di opposizione politica rispetto alla svolta fascista di quello che si avvia a diventare un vero e proprio califfo. D’altra parte sono noti i favori che il regime turco ha fatto ai terroristi di ISIS quando ha permesso loro rifornimenti e zone franche di movimento, per colpire alle spalle i curdi che avevano liberato le città del Rojava.
In Turchia è stato di polizia. Non sono più solo gli oppositori filo curdi ad essere nel mirino. Si può essere arrestati perché inseriti in una lista di proscrizione, perché si è magistrati o avvocati indipendenti, perché si fa il mestiere di giornalista, perché si insegna in una scuola privata, perché si sono fatte dichiarazioni scomode in un’aula universitaria, e scomparire per sempre senza neppure poter comunicare con gli avvocati e con le famiglie. Le epurazioni all’interno delle forze armate stanno completando la fascistizzazione dello stato. Il dibattito sulla reintroduzione della pena di morte rischia a questo punto di essere un paravento dietro al quale si nasconderà la completa trasformazione dello stato turco in una dittatura personale ad ampio sostegno popolare. Se si vuole dare una risposta efficace ad Erdogan e ai suoi sponsor internazionali, dagli emirati del Qatar alla Russia di Putin, occorre una politica internazionale che offra soluzioni al conflitto siriano, riconosca l’autonomia del popolo curdo, sostituisca le iniziative diplomatiche ai bombardamenti aerei che in Iraq ed Afghanistan possono solo cementare solidarietà tra gli estremismi.
L’Unione Europea dovrebbe recuperare una presenza unitaria sullo scenario internazionale e rispettare rigorosamente lo stato di diritto all’interno e fuori dei suoi confini.
Sarà molto importante la risposta che daranno gli Stati europei alle richieste di asilo provenienti da cittadini turchi. Ogni diniego potrebbe significare una legittimazione del regime di Erdogan e delle violenze che sta perpetrando. La Germania di Angela Merkel, adesso nel mirino di Erdogan, dovrebbe riconoscere il colossale errore commesso quando a Bruxelles e a Berlino si è pensato di mettere in mano al governo turco la politica estera europea in materia di immigrazione, concedendo 6 miliardi di euro per chiudere la rotta balcanica. Vediamo oggi con quali risultati.
La Turchia va espulsa dal Consiglio d’Europa perché ha denunciato la giurisdizione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per sottrarsi alle condanne che potrebbe ricevere, più spesso che in passato, dalla Corte di Strasburgo. La Grecia e gli altri paesi europei devono rispettare i Trattati internazionali, la Convenzione di Ginevra, i Regolamenti e le Direttive europee che garantiscono il diritto alla protezione internazionale e vietano trattamenti inumani o degradanti. Nessuno scambio è possibile tra il rispetto della dignità umana e ragioni economiche o militari.
Sulla base di quello che è successo in questi ultimi giorni, l’accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia, che già appariva in contrasto con le Direttive europee in materia di protezione internazionale e con il Regolamento frontiere Schengen n. 562 del 2006, risulta ancora più in contrasto con le Carte internazionali che dovrebbero garantire i diritti fondamentali della persona umana, oltre che con le norme europee in materia di rimpatri e di accesso alla procedura di asilo.
Alla luce degli arresti di massa in Turchia, si può escludere che il governo di Erdogan possa adempiere le condizioni previste dagli accordi stipulati con l’Unione Europea. L’avvicinamento tra Turchia e Russia dopo il fallito colpo di stato getta un’ombra sinistra sui futuri rapporti tra la Turchia e l’Unione Europea. Che ruolo potrà avere un’Unione priva di una politica estera comune e preoccupata soltanto dall’arrivo di altri richiedenti asilo? L’Unione Europea non ha ancora una lista di “paesi terzi sicuri” vincolante per tutti gli stati e non può imporre alla Grecia il respingimento di siriani che siano entrati irregolarmente nel suo territorio. Come reagirà alla probabile denuncia degli accordi da parte di Erdogan?
Oppure abolirà l’obbligo di visto per i cittadini turchi che Erdogan deciderà di far arrivare in Europa, selezionandoli naturalmente tra i suoi sostenitori, perché agli altri sta ritirando i passaporti?
Quanto riusciranno a pesare le critiche che gli stati europei stanno rivolgendo al califfo turco, sul piano delle pesanti violazioni dei diritti umani di cui si sta macchiando?
L’Unione Europea deve sospendere immediatamente tutte le misure attuative dell’accordo stipulato con la Turchia il 18 marzo scorso, bloccare tutte le trattative per l’ingresso della Turchia in Europa e predisporre missioni di soccorso e centri di accoglienza per i profughi, non solo siriani, nel Dodecaneso e nei Balcani.
O ci si prepara oggi, o ci troveremo, tra qualche mese, di fronte a una nuova emergenza umanitaria. Nessuno si illuda che Erdogan non ritorni a usare l’arma del ricatto sui profughi. Non basterà, allora, il muro di soldati che l’Austria sta erigendo ai suoi confini con la Serbia e la Croazia.
Rimane sempre più incerta la sorte dei cittadini siriani presenti in Turchia, oltre tre milioni di persone. Si vedrà se Erdogan continuerà a usarli come arma di ricatto nei confronti dell’Unione Europea, riaprendo la possibilità di fuga, o se rispetterà l’accordo chiuso con la Merkel e poi ratificato dall’Unione. In Turchia, in Grecia e in Bulgaria, per queste persone, alla vigilia di un inverno che si preannuncia durissimo, sarà comunque catastrofe umanitaria.
Secondo alcuni osservatori, il piano di Erdogan in materia è semplicemente diabolico: per una parte dei richiedenti asilo, quelli più compatibili con il suo regime, la prima tappa potrebbe essere quella di ampliare i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, in maniera tale da divenire concorrenziali con i lavoratori turchi e far crollare ogni velleità di opposizione politica dei sindacati. Ma l’asticella del ricatto potrebbe spostarsi più in alto: trasferire i rifugiati nelle aree occidentali del paese, causando una vera e propria modifica demografica, per poi cominciare a concedere a una parte dei siriani la cittadinanza turca. In pratica, ad accordo con l’UE a regime, i “neo-turchi” potrebbero spostarsi in Europa sensa bisogno di visto. Una minaccia con cui ottenere dall’Europa altri soldi e mano libera nei propri progetti.
Molti cittadini europei, insieme ai partiti populisti che raccolgono consensi sempre più ampi, non vogliono più accogliere profughi e i nuovi rapporti strategici tra Turchia e Russia rischiano di legittimare la politica di Erdogan e di allontanare le speranze di pace in Siria, o in quello che ne rimane. Occorrono canali legali di ingresso in Europa. Gli accordi con le dittature – come le intese tra Unione europea e stati africani, maturate nell’ambito del Processo di Khartoum – hanno già dimostrato effetti fallimentari e insostenibili dal punto di vista umanitario, con un aumento insostenibile delle vittime.
Se le minacce di Erdogan nei confronrti dell’Unione europea avranno seguito, le politiche di subordinazione nei confronti di stati che non rispettano gli standard minimi di garanzia dei diritti umani potrebbero cominciare a produrre effetti devastanti in territorio europeo. Se ne accorgerebbero forse anche quei cittadini che continuano a sostenere governi che predicano la pace e la sicurezza e si pongono a fianco dei dittatori e dei califfati, fornendo armi e supporto politico per diffondere odio, guerra e distruzione nel mondo.
Da tempo, in buona parte del pianeta, governano novelli apprendisti stregoni capaci di elaborare progetti tattici di breve durata che innescano rapidamente meccanismi non più controllabili, con il risultato di risvegliare moloch antichi e di divenire portatori endemici di guerra. Nel frattempo nelle piazze turche e di mezza Europa, ma ovviamente nel silenzio mediatico, si protesta contro l’avvento di questo nuovo fascismo. Le dichiarazioni di Junker, secondo cui la Turchia in questa maniera si allontana dall’Europa sono insufficienti, la Danimarca ha richiamato l’ambasciatore ma è ancora nulla rispetto alla gravità della situazione.