“Ricordare tutto, ricordare tutti”, il titolo del cortometraggio di Enrico Chiarugi e diretto da Paolo Caspani sulle 366 vittime del naufragio del barcone con a bordo 500 migranti, del 3 ottobre 2013 . Un film per ricordare le vittime non come numeri ma come persone: «Di quanta memoria avremo ancora bisogno per ricordarli tutti?». Al progetto ha collaborato Massimo Corbo, neurologo e direttore scientifico del Dipartimento di Terapie neuroriabilitative della Casa di Cura Policlinico di Milano.
L’Associazione per i Diritti umani ha intervistato per voi Enrico Chiarugi che ringrazia molto.
Marco, ipertimesico, elenca i nomi delle 366 vittime del naufragio del 2013: come possiamo ricordare e rimettere al centro delle riflessioni le persone e le loro storie e non solo i numeri statistici?
L’idea del filmato è nata da uno di quei cortocircuiti che ogni tanto scattano dal contatto fra cose solo apparentemente lontane: in questo caso, da una lato la tragedia dei migranti e dall’altro la notizia, letta sull’edizione on line del Corriere della Sera di qualche tempo fa, di una ricerca sugli ipertimesici, un piccolissimo numero di Italiani dotati di una memoria autobiografica eccezionale. Perché, dobbiamo dirlo, la questione dei migranti è anche una questione di memoria. E questo nonostante che quasi ogni giorno, purtroppo, ci sia la notizia dell’ennesima strage: 366 morti + 100 morti + 250 morti +… Se ci pensate, è proprio a causa dell’accumulo di dati che la somma finale delle stragi sembra dare come risultato un bello zero tondo, come se non ci fossero facce e corpi dietro quei numeri impressionanti. Ecco, il nostro tentativo è stato quello di evocare, grazie ai nomi detti da Marco Pietrantuono, delle facce vere e dei corpi veri e, contemporaneamente, di mettere “in cassaforte” (una cassaforte vivente, come è la mente di Marco) questi 366 ricordi riemersi dall’oblio.
In ogni caso, non ho niente di personale contro i numeri, anzi. La verità passa anche dalla capacità di mettere in relazione dati e statistiche per trarre delle conseguenze ponderate. Mi piace un po’ meno quando un numero viene isolato dal contesto, brandito come una clava e usato per suscitare la paura delle invasioni o delle guerre di religione. Di questo non hanno però colpa i numeri in sé, ma gli esseri (dis)umani che li utilizzano.
Qual è stata la reazione degli abitanti di Lampedusa alla notizia di quel terribile naufragio?
Onestamente non lo so e non vorrei dire cose sbagliate. So solo che nelle persone dell’isola con cui ho parlato si percepisce un grande senso di accoglienza e di umanità, nonostante tutte le difficoltà oggettive che derivano dal vivere quotidianamente in una situazione “eccezionale”.
Può esprimere la sua opinione sull’operazione Mare nostrum e sulle politiche di accoglienza europee?
“Mare Nostrum” nacque come una risposta concreta (e italiana) alla tragedia del 3 ottobre 2013; operazione necessaria per salvare immediatamente quante più vite umane possibile. Le risposte successive (Frontex, Triton) sono nate dal bisogno e dalla necessità di affrontare questo dramma in un contesto europeo. Ma qui, forse, manca proprio un’idea condivisa di Europa, da cui tutte le polemiche e le divisioni sulle quote dei migranti da accogliere, sui costi delle operazioni di monitoraggio del Mediterraneo ecc. Bisogna dire che qui i numeri sono usati e tirati da più parti, spesso per obiettivi miserabili. Credo che si debba tenere presente (e anche qui sono altri dati a dircelo – dati demografici, economici, persino climatici) che il fenomeno della migrazione dall’Africa verso l’Europa durerà a lungo. Mettere la testa sotto terra o erigere muri non servirà a niente.
Chi invece non parla mai di numeri è la Chiesa, che (lo dico pur essendo io un non credente) svolge un ruolo davvero essenziale , richiamandoci non solo all’aiuto da dare a chi è in pericolo, ma anche al percorso di dignità che deve accompagnare ogni salvataggio di ogni singola persona. Quello della Chiesa e di questo Papa è anche un invito a pensare in modo semplice, ritornando ai “fondamentali”: persone, corpi, dolore, morte.
Al documentario ha partecipato anche il prof. Massimo Corbo, neurologo. Qual è stato il suo apporto al progetto?
In realtà Massimo ha seguito il progetto soprattutto come amico che ne condivideva le finalità. La sua partecipazione alla presentazione del filmato è stata però molto importante, in quanto ha fatto emergere un punto chiave: quanto la memoria può essere legata da un lato all’emozione di un ricordo passato e dall’altro alla paura del futuro. Credo che quella che si combatterà sempre più negli anni a venire intorno alla questione dei migranti (si spera, senza l’uso delle armi ma solo delle parole) sarà certamente anche una guerra tra dati, idee e opinioni, ma sarà soprattutto una guerra di emozioni. In questo scontro, la memoria, stimolata correttamente, credo sia il più potente antidoto contro la paura e contro il suo figlio naturale: l’odio.
Certi politici se non la maggior parte di essi, non stanno ragionando bene. Anche i giornalisti non hanno idee e soluzioni. Qui ve ne do una: Garantirsi un territorio dentro la Libia come ad esempio una zona desertica; preparare gli alloggi per tutti gli emigrati che devono essere rimpatriati e per quelli che scappano dalle guerre e che ancora non tentano un emigrazione; vendersi la sabbia garantendo spazio per costruire e soldi per chi alloggerà nel posto; costruire pannelli solari per produrre energia anche vendibile; filtrare acqua di mare. Questa manovra garantisce stabilità nel territorio dove vi è guerra e protezione per i rifugiati come anche maggiori possibilità di formare partiti politici onesti ed in linea con l’Europa. Può garantire anche espansione di un territorio simile a quello Europeo. Tale manovra è anche un deterrente contro i guerriglieri.