Inciampi di vita e l’Ambrogino d’oro: testimonianze di rifugiati.
Il Teatro Officina, giunto al quarantesimo anno di attività, ha vinto il premio “Ambrogino d’oro” 2016, un riconoscimento importante per chi si occupa di Cultura a Milano.
Massimo de Vita, con i suoi splendidi 80 anni, ha dato voce, corpo e idee ad uno degli spazi teatrali più vivaci della città, dove si dà attenzione a chi non ne ha.
Domenica scorsa sono saliti sul palco alcuni ragazzi, rifugiati, provenienti da Paesi diversi: Pakistan, Iran, Mali, Senegal…Sono giovani che hanno partecipato ad un laboratorio di teatro sociale, tenuto da Enzo Biscardi. Per mesi si sono incontrati: davanti ad una colazione, raccontavano le loro storie, parlando pochissimo l’italiano. Storie di aspiranti calciatori, di ingegneri laureati, di agricoltori, di studenti…Storie di ragazzi con le aspettative di tanti, ma con un’esistenza già segnata da traumi e paure.
I loro racconti partono da una domanda: Come sono arrivato qui? Non si tratta dei barconi, ma del loro stato emotivo. La testimonianza diretta è importante perchè spesso le notizie date dai media vengono strumentalizzate; i ragazzi, invece, si raccontano e dicono quello che succede a tutti i migranti, a tanti rifugiati e profughi. La maggior parte di loro, ad esempio, è passata dalla Libia, prima di arrivare in Italia. In Libia c’è la possibilità di lavorare, ma non è possibile custodire i soldi nelle banche oppure mandarli alle famiglie rimaste nei Paesi d’origine; quindi, i rifugiati vengono rapinati e, se si ribellano, vengono portati in carcere. E lì sappiamo cosa accade.
Kamarà, Moussa, Lassan, Abbas…Ci raccontano che nei centri di accoglienza non si dorme bene, spesso non si mangia abbastanza, ma non ci sono i soldi per uscire e comprare altro cibo; ci raccontano che in Libia se rubi ti tagliano le mani, se una ragazza esce con un ragazzo si prende 40 frustate, se una donna sposata commette adulterio viene lapidata.
E poi iniziano a riportare le storie personali e a spiegare perchè sono fuggiti dalle loro patrie.
Il ragazzo iraniano ha partecipato ad alcune manifestazioni contro il governo; Abbas, pakistano, è figlio della seconda moglie del padre ed era odiato dalla prima moglie e dai fratellastri per la vergogna e l’abbandono causato dal padre e dal suo secondo matrimonio; Lassan, il ragazzo senegalese ha lasciato la famiglia a causa dei numerosi scontri tra i genitori, ma ha rinunciato al gioco del calcio e agli studi a cui teneva tanto. Il suo viaggio? Nel suo Paese aveva anche un problema politico, per cui scappa e riesce ad attraversare il Mali e il Niger in autobus, dormendo in strada. Arriva in Libia a bordo di una jeep che trapostava 32 persone, strette come sardine; 13 lunghi giorni di tragitto perchè l’auto aveva un sacco di problemi. In Libia ha lavorato per tre mesi ma alla fine non è stato pagato e, prima di riuscire ad arrivare a Tripoli, i poliziotti lo hanno preso e lo hanno messo in galera dove è rimasto per sei mesi. Ogni tanto poteva uscire dalla cella per andare a lavorare e, durante uno di questi trasferimenti, è riuscito a scappare. Arrivato a Tripoli, Lassan è salito su una barca di 2 metri per 7 con a bordo 107 persone. Due giorni di traversata e poi, finalmente, una nave della Marina italiana li ha tratti in salvo e sono arrivati in Italia.
Questo spettacolo fa parte di un progetto più ampio dal titolo “Inciampi di vita” in cui gli autori si sono recati negli ospedali, nel dormitorio di Viale Ortles, nel carcere di Opera, in casa di accoglienza…Per ascoltare e riportare le voci di homeless, di malati, di detenuti, di migranti: di coloro che sono fragili e forti nell’attaccamento alla vita, di coloro che hanno in comune con tutti noi più di quanto saremmo portati a pensare.