La violenza sulle donne, “problema sanitario di dimensioni epidemiche”
di Rossella Assanti
Gli ultimi dati riguardo la violenza sulle donne in Italia sono allarmanti. Novemila le vittime di violenza nel nostro Paese e 1.000 i casi di stalking. Novanta le donne uccise nel primo semestre del 2016. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan, presentando il più grande studio mai fatto sugli abusi fisici e sessuali subiti dalle donne in tutte le regioni del pianeta, lo ha definito un “problema sanitario di dimensioni epidemiche.” Il 38% di tutte le donne uccise muore per mano dell’uomo con cui avevano una relazione sentimentale. Eppure questi non sono numeri vuoti. Sono vite, storie deturpate, marchiate, violate. Questo fiume in piena di violenze fisiche, sessuali, psicologiche è la guerra del nostro Paese. L’Oms ha ammonito: “L’impatto degli abusi sulla salute comprende anche depressione e alcolismo, che sono due volte più probabili in chi ha subito violenze dal partner.” Siamo di fronte ad un problema che ci ha investiti socialmente e culturalmente. L’Italia avanza a passi di granchio, senza avanzare affatto.
Le voci sulla violenza di genere si alzano sempre più. La questione adesso non è solo parlarne, ma come parlarne. Ora che le acque del silenzio si sono rotte, il fiume di parole e notizie rischia di annegare il centro, che è la violenza, fuorviando su stereotipi, giustificazione degli atti violenti, marcando l’attenzione sull’identikit del maltrattante e lasciando in una sola penombra la vittima. Sul tema abbiamo dato la parola a Cristina Obber, giornalista e autrice dei libri: “Siria Mon Amour”, “L’altra parte di me” e “non lo faccio più” per ed. Unicople, libro sulla violenza sessuale in cui ha intervistato alcuni stupratori in carcere e che l’ha portata a parlare di questo tema in molte scuole di tutta Italia.
Senza dubbio qualcosa è cambiato nel tessuto sociale, nella percezione che l’uomo ha della donna, ma cosa secondo te?
Credo che tra l’uomo e la donna non sia cambiato nulla. C’è stata una consapevolezza pubblica dei numeri sulla violenza sulle donne. Del fatto che sia un problema culturale. Pensare che negli ultimi anni ci sia stato un aumento dei casi di femminicidio è sbagliato, perché si rischia di giustificare la violenza. E’ così profondo e radicato questo problema che ci vorranno anni prima che qualcosa cambi radicalmente. Ci vuole una educazione che parte dalle scuole materne, che ci faccia crescere degli adulti che si approccino alla donna in maniera differente.
Nonostante i numeri parlino drammaticamente, alcuni uomini continuano a confutare, oscurare i dati. Le emittenti televisive, i nostri telegiornali, lanciano le notizie spesso in maniera molto superficiale, talvolta sbagliata mostrando le donne come deboli, giustificando il movente, senza mettere in risalto quello che di fatto è il gesto maschile perpetrato sulla donna.
Credi che il governo abbia delle misure di contrasto efficienti per fronteggiare, combattere il problema?
La Boschi ha raddoppiato gli stanziamenti perchése c’è una cosa che non va fatta è chiudere i centri antiviolenza. Bisogna però prestare molta attenzione, molti sono coloro che aprono centri antiviolenza solo per ricevere finanziamenti, sono persone senza competenza. C’è una grande speculazione intorno. Bisognerebbe mettere in piedi un piano antiviolenza che coinvolgesse associazioni che lavorano da anni con le donne in questo ambito.
Della Boschi si apprezza l’ampliamento dei finanziamenti per un nuovo piano, ma è inaccettabile che vengano bloccati quelli ai centri antiviolenza che lavorano da anni sul territorio.
Inoltre bisogna andare tra i giovani, nelle scuole dove spesso non vedo interventi se non sporadiche iniziative. Bisognerebbe introdurre l’educazione di genere in ogni scuola. Chi fa politica deve ascoltare la voce delle donne. E’ fondamentale che la politica ci sia per riuscire a fare passi avanti.
Forse, ciò che serve è una rieducazione all’amore. Rieducare all’inaccettabilità della violenza.