Le mogli di Boko Haram
di Monica Macchi
La fotoreporter Stephanie Sinclair ha fatto il suo primo reportage sulle bambine spose nel 2003 in Afghanistan dopo che molte di loro per disperazione si erano bruciate vive: da allora ha continuato a documentare questo fenomeno in giro per il mondo ed ha anche fondato un’associazione per combattere i matrimoni precoci
Il suo ultimo lavoro riguarda le ragazze rapite e poi liberate o scappate da Boko haram in Nigeria che tornano ai loro villaggi con i figli nati durante la prigionia e che incontrano moltissime difficoltà a reinserirsi, dal biasimo sociale, ai problemi economici alla paura e diffidenza: il 75% degli attentatori suicidi nell’ultimo anno erano ragazze e quindi i nigeriani diffidano della loro lealtà e temono che abbiano subito il lavaggio del cervello e siano irrecuperabili. Per questo vivono ai margini abbandonate anche dai loro parenti molti dei quali del resto sono stati uccisi nel tentativo di impedire il rapimento come testimonia Hawa, rapita a 14 anni a Bama, la seconda più grande città del Borno: “I miei genitori si sono rifiutati di darmi in matrimonio, così li hanno uccisi di fronte a me!”
Quindi ai rapimenti e agli stupri, tradizionali armi di guerra, si aggiungono le “mogli” date in premio come incentivo al reclutamento e i figli destinati a diventare la prossima generazione di combattenti: secondo fonti ufficiali del governo nigeriano sono circa 9.000 le donne e ragazze rapite dall’inizio della rivolta di Boko Haram, non ci sono invece stime sul numero dei bambini.