La guerra ai migranti diventa guerra totale. L’Italia nel pantano libico.
di Fulvio Vassallo Paleologo (fonte: ADIF)
Bloccare la consegna delle motovedette alla Guardia costiera libica per non ritrovarsi in guerra. Canali legali e visti di ingresso per motivi umanitari subito. Salvare le vite e sconfiggere i trafficanti di menzogne.
Un recente incontro tra autorità italiane ed autorità del governo di Tripoli si è concluso con il passaggio alla fase operativa degli accordi tra Italia e Libia volti a bloccare le partenze dei migranti verso l’Europa. Dalla guerra ai migranti l’Italia rischia però di cadere in una situazione di vera e propria guerra all’interno del conflitto libico. Tra i diversi paesi europei che hanno partecipato al recente vertice de La Valletta a Malta, l’Italia è l’unico stato che si sta esponendo fino al punto di concludere accordi operativi per bloccare le partenze dei migranti e contrastare i trafficanti, anche se dovrebbe essere noto a tutti che la Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e non garantisce neppure ai suoi cittadini io rispetto minimo dei diritti umani. La Libia o quello che rimane dello stato libico, diviso in almeno tre parti (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) e tre diversi governi ( o aspiranti tali).
Sembrano sempre più vicini i tempi per una piena collaborazione tra la Guardia Costiera libica, che in realtà fa capo soltanto al governo di Serraj, e le autorità militari italiane ed europee, incluse quelle operanti nell’ambito dell’operazione EUNAVFOR MED a guida italiana.
A marzo i libici verranno in Italia a prendersi le motovedette che nel 2009 gli regalo’ Maroni per sequestrare e fare morire i migranti in mare. Gli accordi stipulati recentemente tra Gentiloni e Serraj riprendono molte clausole degli accordi stipulati con la Libia negli anni passati. Rischiamo di assistere alle stesse cerimonie ufficiali, seguite dalla sequenza interminabile di stragi in mare e di torture nei centri di detenzione.
Non dimentichiamo che il Trattato di amicizia tra Italia e Libia del 2008, firmato da Berlusconi e Gheddafi, costituiva la base finanziaria e politica per dare corso ai Protocolli operativi firmati nel dicembre del 2007 dal governo Prodi.
Con i nuovi accordi si prospettano oggi tempi durissimi per gli operatori umanitari. Si troveranno contemporaneamente nel mirino degli agenti di polizia europea e dei miliziani libici ai quali l’Itali sta fornendo le mitragliatrici.
Dopo cinque anni dalla condanna della Corte di Strasburgo sul caso Hirsi il governo italiano tenta di aggirare il divieto di respingimenti collettivi ed il divieto di trattamenti inumani o degradanti alleandosi con la Guardia Costiera libica che rappresenta soltanto una parte della Libia in pieno caos.
Il riarmo della Guardia Costiera libica, perché di questo si tratta, non porterà pace né fermerà le partenze dei migranti. Non sono a rischio soltanto i pescherecci che nelle ultime settimane sono presi a mitragliate dalle navi militari libiche alle quali si è consentito di presidiare la zona contigua alle acque territoriali libiche, ed anche oltre le 24 miglia dalla costa, spingendosi fino a dove lo scorso anno operavano le navi umanitarie.
Aumenteranno soltanto le vittime ed i rischi per gli operatori, già sottoposti ad una pressione crescente da parte dei vertici europei e della missione EUNAVFOR MED che li ritengono come agevolatori dei trafficanti, quando salvano vite umane al limite delle acque territoriali libiche.
Fra i pochi ostacoli a frapporsi a questo meccanismo esiziale che si sta attuando, il ricorso presentato dall’ avvocata libica Azza Maghur che, anche per garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti e in considerazione del fatto che la Libia è paese di transito, sfida l’Italia e chiede l’annullamento degli accordi con Serraj
Già lo scorso anno le navi umanitarie, subito dopo la firma dei primi protocolli d’intesa tra Eunavfor Med e la Guardia costiera libica erano state oggetto di attacchi. Non ne verra’ bene, per nessuno. Senza rispetto dei diritti non ci sara’ mai vera sicurezza.
Intanto in Libia il processo di pacificazione rimane un miraggio, e neppure la nomina di un nuovo rappresentante delle Nazioni Unite sembra riuscire a raggiungere l’obiettivo di riaprire un tavolo di negoziazione, anche per la delegittimazione che le stesse Nazioni Unite incassano dalla nuova amministrazione Trump. Il nuovo rappresentante delle Nazioni Unite, un politico palestinese di consumata esperienza, che almeno parla arabo, non è gradito a Washington. Forse il tipo di rappresentante che Trump vorrebbe veder agire deve avere le caratteristiche necessarie per spingere l’Italia in guerra, uno come il precedente Martin Kobler, che anche l’8 febbraio, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è stato molto esplicito.
In questa situazione si diffonde la guerra per bande, ed i migranti, al pari del petrolio e delle armi sono ridotti a merce di scambio tra le diverse fazioni che si contendono il territorio. Una situazione che sta spalancando la strada alle milizie di Daesh e che presto potrebbe deflagrare in un conflitto generalizzato di tutti contro tutti, con l’Egitto e la Russia come ago della bilancia.