“Stay human: Africa”: la violenza dei caschi blu in Congo
di Veronica Tedeschi
Il 24 febbraio del 2000 è stata istituita dalle Nazioni Unite una forza di peacekeeping per la ricostruzione e il mantenimento della pace in Congo. Questa missione, rinominata MONUSCO nel 2010, viene utilizzata per monitorare la ormai grave situazione del Paese africano.
Non vede pace la Repubblica Democratica del Congo, dove nei giorni scorsi 25 civili di etnia Hutu sono stati decapitati ad opera delle milizie Mai-Mai Mazembe di etnia Nende nel villaggio di Kyaghala.
La missione delle Nazioni Unite, con sede a Kinshasa, risulta quindi di fondamentale importanza per mantenere l’ordine e la pace nel paese ma, purtroppo, di questa missione si è sentito spesso parlare, soprattutto a causa dei comportamenti tenuti dai militari.
A confermare voci e notizie un nuovo rapporto Onu uscito il 1 marzo nel quale si evince che le forze di sicurezza impegnate in Congo si sono macchiate di violenza, uccidendo molti civili, compresi donne e bambini. Nello specifico, nei giorni tra il 15 e il 31 dicembre sono stati uccisi da esponenti dell’esercito almeno 40 civili. A detta del Consiglio “i militari non erano addestrai per le operazioni di gestione della folla” ma, nonostante questo, l’Onu denuncia un uso sproporzionato della forza nei confronti dei civili che si ritrovano, non per la prima volta, colpiti da proiettili o uccisi dai militari. Come si legge dal rapporto, il Consiglio esorta le autorità ad adottare un disegno di legge sulla libertà di espressione, in modo da tutelare gli attivisti per i diritti umani presenti in Congo e in tutto il territorio africano.
A metà 2016 furono registrati anche alcuni casi di violenza sessuale da parte dei caschi blu nei confronti di donne e bambine. Ma anche questo problema, d’altra parte, non rappresenta una novità. Già nel 2015 le Nazioni Unite avevano denunciato 69 casi di probabili abusi sessuali, compiuti ancora una volta in Congo e nella Repubblica Centrafricana. In quel caso ad essere accusati furono militari provenienti da ventuno nazioni.
In un paese già dilaniato da violenze – dal 2010 al 2013, oltre 3600 civili del Paese africano tra i 2 e gli 80 anni sono rimasti vittima di stupro. Sul totale degli episodi, la metà sono da imputare alle milizie ribelli M32 che combattono nel Paese, mentre il restante cinquanta percento è stato commesso da soldati delle forze regolari congolesi – il comportamento dei caschi blu fa sì che si entri in un circolo vizioso che non vede via d’uscita e pace per la popolazione civile.
Per fortuna molti di questi militari hanno scontato anni di prigione per le violenze commesse ma occorre fare di più, creando un contesto sano all’interno del quale nessuno di questi comportamenti possa essere tollerato.