I am not your negro: raccontare la Storia con profondità, dal Passato al Presente
E’ tornato Raoul Peck ed è tornato alla grande. Regista haitiano – dove è stato anche Ministro della Cultura dal ’95 al ’97 – cresciuto in Congo e cosmopolita soprattutto nell’anima, ha presentato in anteprima al Festival del Cinema africano, d’Asia e America latina, in questi giorni a Milano, il suo lavoro intitolato I am not your negro, prossimamente nelle sale.
Ispirato al libro di memorie dello scrittore James Baldwin, il documentario ripercorre la questione razziale nel ‘900: le radici del razzismo, le proteste, l’affermazione dell’identità nera. Un libro che si fa Cinema e il racconto filmico che diventa poesia mescolata a street art.
Interessantissimo lo stile usato per raccontare la discriminazione, il divario tra bianchi e neri, tra ricchi e poveri, il boom economico e la miseria morale dell’Occidente. Immagini di repertorio di film che hanno segnato la cinematografia e manipolato l’opinione pubblica degli anni ’40 in poi; immagini pubblicitarie che hanno fatto grande l’America, quell’Eldorado per pochi in cui si inneggia ai diritti civili, ma solo per i bianchi; i discorsi di Malcom X, di Martin Luther King e delle Black Panther, posizioni diverse, lotta armata e non, ma efficaci nello sbugiardare l’ ipocrisia dei fratelli Kennedy e dei loro successori.
Il testo scritto di Baldwin – suddiviso in capitoli – “Fare la mia parte”, “Eroi”, “Purezza”, per citarne alcuni – le immagini potenti di Peck, la voce profonda di Samuel Jackson, la colonna sonora che affonda a piene mani tra il blues, i canti dei lavoratori nelle piantagioni e il rap contemporaneo, un montaggio sapiente, accompagnano lo spettatore in un viaggio ricco e affascinante nelle pieghe della Storia, nella psicologia di chi ancora è costretto ad affermare le proprie origini e la propria identità, in quel Cinema (degli anni ’50 e ’60) in cui i neri erano relegati a ruoli e a mestieri minori e i bianchi erano gli eroi…John Wayne uccideva gli indiani e, ancora oggi, gli yenkees espropriano i nativi delle terre con la violenza e la sopraffazione.
Il percorso di formazione dello scrittore africano che nel 1948 ha lasciato il Paese d’origine per vivere a Parigi, passa attraverso i volti di Gary Cooper e di Doris Day, ma anche di Sindney Poitier e Herry Belafonte, tramite un continuo confronto tra il lassismo e la cecità delle scoietà occidentali, in cui le persone sono sempre più orientate verso il consumismo e la necessità di inutili certezze, e la tenacia dei neri, di quelle donne e di quegli uomini che hanno lottato e lottano ancora, anche a costo della propria vita, per ripristinare la verità, la giustizia e l’uguaglianza, valori che – come ha sottolineato Raoul Peck nel film – non ci appartengono più perchè nella parte di mondo a NordOvest l’immaturità è diventata una virtù.
Oggi siamo costretti a scegliere tra sì e no, tra bianchi e neri, ma la realtà è molto complessa e, per risolvere i problemi, non si possono cercare risposte semplici; anche Malcom X ha iniziato la sua lotta con la violenza, ma in seguito il suo pensiero è evoluto e il leader ha cambiato posizione rispetto alle sue prime posizioni radicali. Non esistono neri o bianchi, esistono UOMINI…Quindi perchè i “bianchi”, invece, hanno così tanto bisogno di occuparsi dei “neri”?