“Stay human: Africa”: la tratta di persone in Nigeria
di Veronica Tedeschi
Intervista di Veronica Tedeschi ad Anna Pozzi, giornalista, collaboratrice della rivista Africa e autrice del saggio “Mercanti di schiavi – Tratta e sfruttamento nel XXI secolo” e Bruno Zanzottera, reporter e autore del video, insieme ad Anna Pozzi, No place like home – Ritornare per cominciare.
Festival del cinema africano, Asia e America Latina 2017.
Volete raccontarci come avete realizzato il video?
Anna: Nel Cortometraggio No place like home si intrecciano tre percorsi di impegno: uno giornalistico per approfondire i temi della tratta e un altro volto alla scrittura del libro “Il coraggio della libertà”, scritto da Blessing, una giovane donna nigeriana vittima di tratta che ha subito un inganno vero e proprio arrivando in Italia con passaporto e visto valido. Terzo filone riguarda un impegno di volontariato, con la costituzione della fondazione “slaves no more” per il rimpatrio assistito di donne che decidono di tornare in Nigeria; è un percorso al rovescio che dura due anni e dà la possibilità di creare un piccolo business.
Bruno: Per la realizzazione del video non abbiamo incontrato difficoltà particolari ma è risultata fondamentale la rete di contatti di Anna per effettuare le riprese e le interviste.
Governare il fenomeno della tratta è una sfida: da dove si deve cominciare?
Anna: Il fenomeno della tratta è globale e riguarda nel mondo dalle 20 alle 35 milioni di persone, di cui il 70% sono donne e bambini. Ci sono veramente molte casistiche, dalle spose bambine allo sfruttamento sessuale, è un fenomeno complesso e penso che nessun Paese al mondo sia privo di questi nuovi schiavi.
In Italia è un fenomeno ben presente in quasi tutti i suoi aspetti, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale e lavorativo. Quello sessuale coinvolge 60 mila donne, di cui circa la metà sono nigeriane.
A livello lavorativo, invece, sono circa 150.000 le persone che vengono sfruttate, sia per lavori domestici che per lavori legati al settore turistico.
Come affrontare, quindi, questo fenomeno?
A livello internazionale sono riconosciute tre priorità:
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Prevenzione: da un lato prevenzione nei paesi d’origine. Dare condizioni di vita tali che non sia necessario partire. Dall’altro lato prevenzione nella formazione della domanda: in Italia abbiamo tra 9 e 10 milioni di domande: è un business enorme in Europa, più redditizio del traffico di droga. Se non ci fosse una domanda così alta non ci sarebbero numeri così grandi.
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Protezione delle vittime: le donne immigrate, spesso senza documenti, vengono considerate clandestine e quindi da vittime diventano anche criminali.
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Perseguimento dei criminali: La rete dei criminali è molto ampia e flessibile ma dall’altro lato la rete del contrasto non è così efficace e flessibile.
Hai citato dei casi, quello delle spose bambine e quello della servitù domestica invisibile. Vuoi raccontarci qualcosa in merito?
Anna: I fenomeni della tratta sono transfrontalieri e quello delle spose bambine è un fenomeno che coinvolge soprattutto i più piccoli. Sono attive tante campagne di sensibilizzazione su questo fenomeno ma, nonostante questo, il crimine rimane persistente e non solo in Nigeria. Altro fenomeno che coinvolge soprattutto i bambini è lo sfruttamento lavorativo: bambine costrette a lavorare anche per grandi marchi che in molti casi subiscono un doppio sfruttamento: quello lavorativo e quello sessuale.
I numeri sono molto alti ma è vero che c’è una forte impunità? Cosa fanno le forze dell’ordine italiane per contrastare questo fenomeno?
Anna: Questa domanda io l’ho fatta a loro perché me la sono posta anche io. Non è vero che non si fa nulla, anzi si sta facendo sempre di più ma spesso mancano risorse umane ed economiche. Risulta sicuramente più semplice perseguire i criminali per induzione e sfruttamento della prostituzione che per tratta di persone. È molto più difficile dimostrare la riduzione in schiavitù e la tratta soprattutto perché per perseguire questo crimine è necessaria la denuncia della vittima che è molto difficile da ottenere a causa della paura delle donne coinvolte. Infatti, prima della partenza le donne nigeriane subiscono dei riti voodoo, grazie ai quali gli sfruttatori riescono a seguire psicologicamente le donne per tutta la loro esistenza ed evitano denunce e querele.
Con l’aumento degli sbarchi il tutto diventa più complicato; i trafficanti sono sia italiani che stranieri e spesso vengono anche stati arrestati. Non si può quindi dire che non si fa nulla ma che, forse, non si fa abbastanza.
Quali sono i motivi politici, culturali e sociali per cui diventa difficile contrastare il fenomeno anche nei paesi d’origine?
Anna: Sono mancata tre anni dalla Nigeria e in questo tempo, relativamente corto, mi sono accorta che le condizioni di vita nel Paese erano ancora più peggiorate: parlo di un degrado evidente legato in parte al crollo del prezzo del greggio e, in parte, agli investimenti fatti per la lotta contro Boko Haram. Questi han fatto sì che molte delle risorse investite per il welfare del paese si siano drasticamente ridotte (comprese le risorse per le istituzioni scolastiche). La gente fa fatica a vivere e le responsabilità per questo sono molte, non esistono ricette per situazioni così difficili.
Bruno: Capita che siano proprio le madri a trafficare le figlie. Alcune persone vanno spesso nei mercati per sensibilizzare i cittadini sul tema e ricevono puntualmente attacchi dalle mamme stesse le quali non si concepiscono come trafficanti ma come emittenti di opportunità da dare ai figli.
Se qualcuno rinuncia alla proposta di venire in Europa viene preso in giro, è assurdo rinunciare ad un’opportunità simile. Le donne che arrivano sono sempre più giovani e sempre meno istruite soprattutto per questo motivo.