“LibriLiberi”: Ultimo giro al Guapa. Essere gay in Medioriente
Il Guapa è un locale frequentato da persone omosessuali in una città del Medioriente, un mondo a parte, unico luogo clandestino in cui si possono esprimere identità e desideri.
Rasa – giovane non dichiarato che vive con la nonna Teta – intreccia un’ intensa relazione con Taymor, bello e tanto affascinante da far innamorare anche Leila, una ragazza della media borghesia con cui deciderà di sposarsi.
Il senso di colpa per essere stato scoperta dall’anziana nonna in camera da letto con l’amante, la scelta sentimentale di quest’ultimo e l’arresto di Maj, suo migliore amico, fanno precipitare il fragile equilibrio del protagonista, precedentemente abbandonato dalla madre artista, quando era ancora un bambino.
Questa la sinossi del romanzo intitolato “Ultimo giro al Guapa”, edito da E/O e scritto da Saleem Haddad. Haddad è di madre iracheno-tedesca, di padre libano-palestinese, è cresciuto tra Kuwait, Giordania e Cipro e ora si trova a Londra. Questo è il suo libro d’esordio nella letteratura contemporanea. Le vicende esistenziali dell’autore, le sue culture di appartenenza permettono un’analisi attenta del mondo arabo, con le sue contraddizioni tra legame con la tradizione e con l’apertura verso la modernità, nel testo ben rappresentati dalla figura della nonna – severa, conservatrice, religiosa (“Una giovane donna con un velo rosa legge i titoli di apertura. Se Teta fosse qui, borbotterebbe: ‘Ma guardala! Porta lo hijab ma si dipinge mezza faccia col rossetto. Sembra una gatta che ha appena divorato i suoi micini’) e dalle ragazze e dai ragazzi che ruotano intorno a Rasa nella sua quotidianità. La madre – artista, sensibile e affamata di libertà come il figlio – non resiste ingabbiata in una società patriarcale e soffocante per le donne emancipate e per chi vorrebbe esprimere le proprie opinioni e la propria creatività; il padre – deceduto da poco – resta presente nel continuo ricordo della sua nutrice, nella conflittualità silenziosa con il figlio, come Legge etica e morale dominante, così in famiglia come nella società e in politica. Un uomo, questo padre, ostinato a serbare un segreto, incapace di esprimere emozioni, che con la sua tirannia psicologica crea danni irreparabili. “In alcuni momenti ho accarezzato l’idea di strappare via dai muri tutte le foto di Baba. Non perchè lo odi. No, volevo bene a mio padre. E’ solo che volevo scegliere di volergli bene, non vedermi sbattere in faccia il suo ricordo ovunque guardi. Ognuna di quelle foto sembra un ordine: ‘Amami!’, ‘Amami!?”:come non fare un’associazione con i grandi manifesti di pseudo Presidenti che impongono la loro pseudo bonarietà…
La tirannia c’è ed è molto presente nel testo; la tirannia vera, quella di chi governa un Paese tramite la paura, il ricatto, la violenza. Una violenza che si abbatte su tanti, troppi e, in particolare su chi è considerato “diverso”, oltraggioso verso la decenza pubblica solo perchè ha un orientamento sessuale non convenzionale. Nel libro Rasa dice al suo amico Maj: “Potremmo documentare le tue ferite e denunciarle a quel gruppo di attivisti per i diritti umani con cui lavori”. Maj infila gli occhiali da sole e fa una risatina amara. “L’unico scopo di quelle denunce è alleviare i rimorsi dell’Occidente per aver fornito armi al regime” e chi scrive questa recensione si sente, inevitabilmente, chiamato in causa…
L’Occidente è spesso osservato criticamente da Haddad: “I sognatori di tutto il mondo vanno in America. Ma il sogno è solo un’esca. L’America è come l’amo di un pescatore, capace di catturarti e poi di tagliarti in due e divorarti, oppure se non sei di suo gusto, di ributtarti in acqua con un buco a forma di amo dentro la guancia”, queste le dichiarazioni fatte attraverso Teta, ma anche una ragazza, Nora,quindi una rappresentante della nuova generazione, a proposito di eventuali riforme in tema di libertà civili dice:” Il piano di riforme…Ma per favore. E’ pilotato dall’Occidente, che non ha nessuna intenzione di lasciarci prendere decisioni autonome. Ci hanno dato una penna per sottoscrivere la nostra condanna a morte e noi litighiamo sul colore dell’inchiostro”.
Il linguaggio della scrittura è duro e dolce, allo stesso tempo, esattamente come il temperamento del protagonista che si fa emblema di un popolo (o forse più di uno) sensibile, colto, ma indurito per autodifesa.
Tanti gli argomenti importanti raccontati: la questione dell’omosessualità nel mondo islamico, le dittature, la situazione nei campi profughi scampati ai numerosi conflitti in corso, la lotta per le libertà e i diritti universali. Percorre il libro un senso di disillusione, di fatica: “Questo è un regime che si accanisce sugli arrabbiati e i deboli. Sugli angariati e gli oppressi, i poveri, le donne, i profughi e gli immigrati clandestini. Oggi mi hanno rilasciato dopo poche ore. E perchè? Perchè parlo un inglese fluente e abito nella periferia Ovest. Politicamente, costa troppo uccidermi”.
E noi dedichiamo questo articolo a tutti coloro – dissidenti, preseguitati – che sono ancora in carcere o che non ce l’hanno fatta.