“America latina: diritti negati” Tempi bui per il giornalismo
di Mayra Landaverde
In questi giorni si parla tanto qui in Italia dei tempi bui che vive il giornalismo. Io sono abituata. Tristemente abituata. Mi ricordo ancora l’espressione che mia madre fece quando m’iscrissi al corso di giornalismo all’università statale. Perché fare la giornalista voleva dire, e vuol dire tuttora, morire giovane. Fare del vero giornalismo è una sentenza di morte sicura. Messico è uno dei paesi più pericolosi per svolgere questa professione. Ho scritto qualcosa al riguardo su questa stessa rubrica e lo ripropongo anche oggi perché non basta lottare per la liberazione o i diritti di un uomo solo, ma di tutti e tutte le persone che scelgono di raccontare come sta andando il mondo, in Messico, in Turchia, in Italia. E’ la stessa cosa. Dobbiamo proteggere la nostra unica arma. La libertà (e il dovere) di raccontare storie che i più potenti vorrebbero sotterrare.
Lo fanno i giornalisti, attivisti, documentaristi, fotografi, reporter ecc.
Dobbiamo difenderli. Tutti.
L’anno scorso il CEMDA (Centro mexicano de derecho ambiental) ha dichiarato che dal 2010 a giugno 2016 si sono registrati al meno 303 aggressioni ad attivisti ambientali.
A gennaio di quest’anno è stato ucciso l’attivista ambientale indigena Isidro Baldenegro. E’ stato assassinato a colpi di pistola mentre era da un parente in una piccola località del nord del Messico. Baldenegro lottava da decenni contro la deforestazione della Sierra Tarahumara.
Berta Caceres è stata uccisa anche lei in Honduras a marzo 2016. Un anno prima le era stato conferito l’importante premio Goldman che riconosceva la sua attività come ambientalista.
Ricardo Molui, Pedro Tamayo, Cecilio Pineda tutti assassinati in Messico, tutti giornalisti.
Da gennaio a ottobre 2016 sono stati ammazzati 10 giornalisti.
In 6 anni sono state aperte 798 investigazioni per aggressioni a giornalisti in Messico, soltanto due condanne.
Nel 2015 il fotoreporter Ruben Espinosa è stato trovato morto in un appartamento in Città del Messico dove si era trasferito proprio perché temeva per la sua sicurezza. Ruben lavorava come freelance in Veracruz una delle regioni più pericolose per fare giornalismo.
Nel 2012 i narcos avevano ammazzato la famosa giornalista e collaboratrice del giornale La Jornada e anche di Proceso, Regina Martinez che per più di trent’anni aveva denunciato col suo prezioso lavoro i crimini del narcotraffico.
Il giornalismo è sotto attacco e noi abbiamo il dovere di ribellarci e alzare la voce per tutti quelli che scelgono questa bellissima professione di raccontare ciò che vedono.