“Stay human: Africa” Sud Sudan tra guerra e carestia – Intervista a Martina Amendola di Intersos
di Veronica Tedeschi
In Sud Sudan è in corso una guerra civile dalla fine 2013 che, tra gli altri disagi, ha portato ad una carenza di cibo trasformatasi in carestia, 100mila persone rischiano di morire di fame.
Ottenuta l’indipendenza dal Sudan nel 2011 grazie anche all’appoggio del governo americano e della comunità internazionale, il Sud Sudan si è trasformato in campo di guerra dal dicembre 2013, quando il presidente Salva Kiir rimosse il suo vicepresidente Riek Machar. Le violenze hanno poi preso connotazioni etniche quando il gruppo etnico dei Dinka – vicino a Kiir – ha iniziato a combattere i membri dei Nuer, il gruppo etnico di Machar.
Durante la guerra ci sono state decine di migliaia di morti e 1,5 milioni di persone sono fuggite dal paese.
Per comprendere meglio la delicata situazione in cui si trova questo paese abbiamo realizzato un’intervista a Martina Amendola, che ha lavorato nella capitale Juba per l’organizzazione umanitaria Intersos.
Sei stata diversi mesi in Sud Sudan per seguire un progetto di Intersos, un’organizzazione umanitaria italiana che si occupa di assistenza. Vuoi raccontarci cosa fa Intersos e che lavoro svolgevi?
INTERSOS è un’organizzazione umanitaria italiana che opera in circa 20 paesi del mondo, per supportare persone vittime di conflitti o catastrofi naturali. Uno di questi paesi è il Sud Sudan, dove attualmente l`organizzazione gestisce progetti nel settore dell`educazione in emergenza, protezione legale e supporto alle vittime di violenza, in particolare bambini e donne, distribuzione di beni di prima necessita, e WASH.
Io mi occupavo di un progetto di educazione in emergenza, nella regione del Western Equatoriale al confine con il Congo, precisamente avevo base a Yambio. Qui, davamo supporto alle scuole che ospitavano bambini sfollati provenienti dalle aree limitrofe e costretti a fuggire a causa del conflitto.
Abbiamo costruito e ricostruito classi, dato supporto attraverso incentivi mensili ad insegnanti volontari che servivano per coprire le nuove classi formatesi a causa dell`afflusso di sfollati. Abbiamo formato insegnanti con corsi di pedagogia e con corsi specifici su come interagire con bambini traumatizzati, inserendo anche tematiche come la promozione dell’igiene o la prevenzione HIV. Abbiamo distribuito materiale scolastico come zaini, quaderni, penne e libri, organizzato campagne di promozione e sensibilizzazione sull’importanza dell’educazione per evitare che i ragazzi lascino la scuola in età adolescenziale. Tutto questo in un contesto mutevole in cui gli spostamenti per via delle riprese del conflitto erano frequentissimi e dove era quindi necessario riadattare le attività di volta in volta.
Il conflitto in Sud Sudan vede come protagoniste due etnie: Nuer e Dinka; quali sono le loro caratteristiche e per cosa si scontrano?
Si combatte solo per questioni etniche?
Il conflitto, scoppiato nel 2013, appena due anni dopo la conquistata indipendenza di questo che è il paese più giovane al mondo, non si riduce ad una contrapposizione fra le due etnie di maggioranza Dinka e Nuer, ma si complica per le influenze di altre etnie e delle relative alleanze: Muer, Shillouk, Azande per citarne alcune.
I Dinka sono l’etnia di maggioranza, rappresentata dall`attuale presidente sud Sudanese Salva Kiir, mentre i Nuer sono guidati dal vice-presidente (attualmente fuori dal paese) Riech Machar , leader rispettivamente del Sudanese People Liberation Movement e Sudanese People Liberation Movement In Opposition.
Entrambi i leader sono dotati di una propria forza militare (nel primo caso governativa) ed entrambe le fazioni sono lacerate da conflitti interni e defezioni continue.
Nel luglio del 2016, mi trovavo a Juba quando si è riaperto di nuovo il conflitto fra SPLA e SPLA-IO, e Machar ha dovuto abbandonare il paese. In quattro giorni di combattimenti circa 300 persone sono state ufficialmente dichiarate vittime degli scontri, ma pare che i morti siano arrivati ad un migliaio. Dopo il quarto giorno le parti in lotta hanno annunciato una tregua, fin ora più o meno rispettata ma da quel momento gli equilibri, già precari, sono di nuovo cambiati.
Il Paese sta subendo anche una forte crisi economica? Quali le cause?
Il conflitto ha generato una disastrosa crisi economica. In circa un anno abbiamo assistito ad un aumento dei prezzi dell` 80 %. Personalmente, posso dirvi che da Aprile 2016 a Febbraio 2017 ho potuto constatare come 5 pomodori, nel mercato di Yambio, sono passati da 20 South Sudanese Pounds a 75 South Sudnase Pound, in un paese in cui un insegnante statale è pagato circa 300 South Sudanese Pound (attualmente l`equivalente di 30 dollari al mese), quando viene pagato!
L’ avvento della stagione secca ha aggiunto ad una già disastrosa situazione, un’emergenza carestia nelle due regioni già martoriate da conflitto e povertà, Unity e Jongley con picchi altissimi di malnutrizione registrati dal WHO.
Con l`inizio della stagione delle piogge invece, i pochi e precari spostamenti di merci e persone sono divenuti ancora più difficili a causa del fango che blocca le principali strade del paese, tutte rigorosamente non asfaltate. L’assenza di infrastrutture e servizi rende tutto più difficile, inclusa la gestione della macchina umanitaria.
Altro grande problema sono i rifugiati. Il numero di persone che scappa dal Sud Sudan è molto alto. Quali rotte percorrono e dove vorrebbero arrivare?
Per quanto riguarda i rifugiati, la maggioranza si trova nei paesi limitrofi come Etiopia, Uganda e persino Congo e Repubblica Centroafricana dove pure sono in corso conflitti. Si arrivano a contare 1, 6 milioni di rifugiati in questi Paesi.
I rifugiati sudsudanesi non hanno la possibilità economica di intraprendere un viaggio sino all`Europa, la cui rotta prevede passaggio dal Sudan, Chad per arrivare in Libia e infine, forse, in Italia.
Vorrei menzionare il caso particolare dell`Uganda che da Novembre 2016 vede un flusso giornaliero di 2.000-3.000 rifugiati provenienti dal Sud Sudan e che oggi continua ad accogliere senza tregua per arrivare ad un totale di 575.000 rifugiati arrivati nel paese da Agosto 2016 ad oggi.
Com’è la situazione ai confini con il Sudan?
Per quanto riguarda il vicino Sudan, è noto che l`attuale presidente appoggia Machar mentre il governo centrale di Juba appoggia fazioni opposte al governo di Khartum, come il Sudan Revolutionary Front.
L’interesse per i pozzi petroliferi dello Unity State e di Malakal, sono ancora il motore di tutte queste alleanze così come furono motivo di scontro fra il governo di Karthoum e il movimento di liberazione per il sud sudan, dagli anni 80 fino al 2005.
La vicina Uganda, invece, sostiene tacitamente Machar ma al tempo stesso gioca un ruolo fondamentale nel mantenere il precario equilibrio del paese.
Cosa ti ha lasciato il positivo il Sud Sudan? Pensi che riuscirà ad alzarsi?
Il Sud Sudan è un paese letteralmente sprofondato in una crisi umanitaria complessa e che per il momento non vede fine. Un paese giovane, che esce da decenni di guerra; intere generazioni nate e vissute in campi profughi, abituate a sentire colpi di mortaio, abituate a mangiare una volta al giorno e a vedere parenti uccisi. In questo Paese non si sa cosa voglia dire e come si possa costruire la pace.
Nonostante questo e accanto a questo, ho visto la gioia semplice negli occhi dei bambini con un semplice aquilone costruito con una busta di plastica. Ho visto luce negli occhi delle mamme quando si discuteva seduti sotto un albero sull`importanza dell`educazione per le loro figlie.
In tutto questo, il Sud Sudan è un paese vivo, che tenta ogni giorno di rialzarsi, sapendo di poter ricadere.
E sono convinta che un giorno ce la farà a non cadere più.