“LibriLiberi”: La maledizione dell’Achille Lauro
Pochi giorni fa Hamas ha diffuso un programma politico in cui vengono accettati i confini stabiliti nel 1967 tra Israele e Palestina (per l’approfondimento, cliccare qui: http://www.ilpost.it/2017/05/02/hamas-accettato-confini-del-1967/) e noi pubblichiamo la recensione del saggio”La maledizione dell’Achille Lauro”, di Reem Al-Nimer, Zambon editore.
Sono sfuggita a ai missili israeliani e americani
che mi passavano sopra la testa a Baghdad
e ho dovuto correre nei bunker in piena notte a Beirut.
A Gaza ho visto interi edifici crollare sotto i miei occhi.
Ognuna di queste insensate battaglie
si è portata via un pezzo della mia anima
Reem al-Nimer
La maledizione dell’Achille Lauro racconta la vita di Abu al-Abbas, leader del Fplp (Fronte di Liberazione della Palestina) attraverso le parole della moglie Reem al-Nimer ed interseca esperienze personali, la denuncia al maschilismo e al sistema patriarcale della società palestinese con la resistenza politica nell’intero Medio Oriente dal Settembre Nero in Giordania fino all’invasione dell’Iraq e alla prevalenza dell’Islam politico in quella che era la Palestina laica. Il libro parte dal massacro falangista di Sabra e Shatila del 1982, quando l’esercito israeliano e le truppe di Elie Hobeka fanno irruzione nei campi profughi di Beirut Ovest: tra i sopravvissuti quattro adolescenti che dopo aver visto morire genitori ed amici il 7 ottobre 1985 si imbarcano sull’Achille Lauro per raggiungere clandestinamente il porto israeliano di Ashdod. Il commando, però, venne scoperto quasi subito e decide di sequestrare il transatlantico con i 201 passeggeri e 344 membri dell’equipaggio e nel tentativo di gestire questo imprevisto, viene ucciso Leon Klinghoffer, ebreo americano e paraplegico; e questa è stata la maledizione secondo Abu Abbas “In Palestina si muore tutti i giorni, eppure tutti i media occidentali mi chiedono e si chiedono solo perché è stato ucciso Leon Klinghoffer?!?”
Il pregio di questo libro sta invece proprio nel ricostruire il contesto non solo dei rapporti delle fazioni palestinesi tra di loro e con gli altri Stati e leader arabi ma soprattutto la vita dei campi profughi da cui provengono i quattro palestinesi. Così nelle parole di Reem: “Non immaginavano neppure che la vita potesse avere un significato così dolce e lussuoso: erano nati in minuscoli alloggi ammucchiati gli uni sugli altri nelle strade affollate e polverose di Yarmouk e Wihdat o di Baq’a ed erano cresciuti per strada senza un’istruzione degna di tale nome”.