“LibriLiberi”. Elogio delle frontiere: ricomporre i limiti, non innalzare muri
Il titolo, Elogio delle frontiere, può essere provocatorio, così come lo può sembrare il testo, ma non è così.
La tesi è affascinante e utile per capire meglio l’attualità; d’altronde è scritta da un autore arguto, appassionato, impegnato: stiamo parlando del filosofo francese Règis Debray, giornalista, socialista che ha preso parte, nella sua vita di intellettuale e militante, anche alla rivoluzione boliviana.
Perchè elogiare le frontiere? La nostra stessa pelle è un confine che ci protegge dal mondo esterno, ma allo stesso tempo, ci permette di assimilarlo e di provare sensazioni piacevoli o no, ma che ci fa sentire vivi. Frontiera intesa come limite, dal latino “limes”, che sottolinea quella differenza necessaria tra le identità uniche degli individui, riconoscendo l’”io” e il “tu”, senza negare però lo scambio, l’incontro, l’arricchimento reciproco che deriva proprio dalla diversità.
La frontiera, quel limite che potrebbe tenere a freno i danni della globalizzazione, in campo culturale ed economico, quella globalizzazione che appiattisce i gusti, che uniforma il pensiero e che rischia di portare la massa in un’unica direzione, etica e quindi anche politica, a voler estremizzare.
E’ bello sentirsi al sicuro all’interno della propria abitazione, confortevole, ma aperta agli altri; la nostra stessa esistenza è finita, ha un termine e questo dovrebbe indurci a dare un senso profondo agli anni che ci sono concessi, senza dimenticare che il ciclo vitale, invece, è eterno; la nostra stessa libertà risulta tale se considera il confine con il rispetto di quella altrui.
Debray ammette la commistione e ci mancherebbe altro, infatti scrive: “ E’ là dove si combacia, dove ci si interfaccia con l’altro, che si incontrano le persone con maggiori risorse. Le città-frontiera fanno lievitare l’impasto pesante: Tangeri, Trieste, Salonicco, Alessandria, Istanbul. Accolgono i creativi e gli intraprendenti, i portatori di droghe e di idee, coloro che favoriscono il flusso. Il profilo del frontaliere è questo: un burlone, un lavatvo ingegnoso, più sveglio di quegli intorpiditi che vivono nell’hinterland. Tutti noi, ormai senza fiato, abbiamo un debito nei loro confronti. Che cosa sarebbe oggi la lingua francese senza i corsari d’oltremare?”.
Una certa diffusa mentalità, invece, ci sta portando verso una realtà asfittica, dove la linea di confine (permeabile, porosa) si trasforma in muro, in chiusura; dove l’Altro non è più simile e diverso da me, dove ci si deve trincerare in un permanente stato di guerra e di neocolonialismi, più o meno celati dietro a false neodemocrazie, quando invece il Passato ci ha anche insegnato i valori dell’inclusione, dell’intercultura, della mixitè.
Prendiamo, infine, in considerazione il rapporto che abbiamo con la tecnologia: siamo tutti bravissimi a comunicare tramite i social network: “network”, appunto, una rete di persone che si sentono libere perchè nascoste dietro ad uno schermo, ad un confine protettivo, ad una maschera. Ma poi quanto siamo in grado, oggi, di relazionarci fisicamente, di parlarci con sincerità guardandoci negli occhi? La tecnologia può essere utile per ampliare la nostra conoscenza, per moltiplicare il nostro sguardo, ma può diventare anche una barriera, un muro (ancora una volta) che annulla l’umanità, la capacità di mettersi in gioco, di provare sentimenti.
Arricchito da riferimenti colti e permeato da una sottile ironia, il saggio (edito da AddEditore) spazia dalla filofosia, alla geopolitica, dalla finanza all’ Arte fino a parlare delle nostre scelte quotidiane, del nostro stare nel mondo, in un mondo sempre più contraddittorio, dove l’illusione di esserne gli attori unici e principali sconvolge e confonde le dinamiche, i rapporti tra giusto e sbagliato, tra diritti e doveri.