“Scritture al sociale”: Rifugiata. Musulmana. Ha solo venti anni.
Bella, “A”, in attesa di consenso a restare nel nostro Paese.
La vado a prendere..
Lei e il suo cappuccino. Iniziamo il viaggio dei ricordi, i suoi. Piano…
Lo zucchero bianco scende ed il cornetto scricchiola.
A., posso chiamarla solo così per ovvie ragioni, aveva solo due mesi quando morì suo padre e i suoi nonni decisero che erano inutili e fastidiose due donne in più. Per lei e sua madre fu necessario spostarsi in un altro paese,madre che inventandosi l’arte del commercio ambulante, la tirò su con tanto affetto da renderla grande ancora prima di esserlo.
Studiare, devi studiare..le diceva. Le lingue sono importanti, senza “non potrai mai andare via..”. Via da un posto che la finì distesa in una pozza di sangue dopo un attacco dei guerriglieri. Senza un motivo, senza un perché.
A., aveva già terminato gli studi delle scuole superiori, senza poter accedere ad una università, il sogno di sua madre per lei.
Venne rapita una volta, poi ancora e ancora. Scappò una volta, un’altra e poi ancora. Un marito imposto a costo della fame e della sete, per non morire, dal quale scappare di notte approfittando della sua assenza. Notti di corse infinite, di giacigli dentro case diroccate, di silenzi e rumori improvvisi. Di paura.
Una famiglia che la presenta ad un’altra. Il deserto da attraversare in tanti giorni, la forza delle mani addosso di uomini violenti a lasciare segni.
A., ha cicatrici, evidenti, profonde, fanno male solo a guardarle. Me le mostra tirando su la stoffa della sua camicia quando le chiedo:”com’è stato l’uomo che hai sposato?”.
Mentre scappava via da un ennesimo tentativo di violenza attraversò la strada e un auto la investì.
Due mesi e più trascorsi in un ufficio della polizia locale finché uno di loro la portò in un posto, ad attendere ore ed ore finché vide i “barconi”.
Infiltrandosi tra loro si imbarca, senza cibo per oltre tre giorni, insieme ad occhi stracolmi di pianto, tutti.
Persone addormentate per sempre, bambini piccoli senza più voce per piangere.
Furono soccorsi e salvati in Sicilia, il primo centro di accoglienza. Un letto, un posto e le voci lontane che restano dentro.
“Cosa pensi del terrorismo?” le chiedo. Lei mi guarda con gli occhi neri e profondi e dice:”Islam vuol dire pace, i terroristi non sono musulmani, nè cristiani, nè altro..”
“E qui in Italia, come stai?”
– “Penso che in un Paese dove non c’è guerra puoi essere povero, anche tanto povero, ma se non c’è guerra, sei ricco”
Finiamo la nostra colazione,sorridiamo..
Mentre andiamo via in macchina, guarda dal finestrino il cielo dicendo “tutto quello che ho vissuto deve avere un perché e se sono viva allora c’è una possibilità anche per me..”
Unendo le mani al petto chiude gli occhi. La sua è una preghiera.
Noi il suo rifugio.