Il Consiglio europeo e l’agenda in tema di migrazioni
Il 22 e 23 giugno si è tenuto il Consiglio europeo e le reti delle organizzazioni della società civile italiana lanciano un appello congiunto alle istituzioni italiane ed europee indicando in una road map, le misure indispensabili e urgenti per un cambio di rotta nella gestione dei flussi migratori in Italia e una nuova e più efficace Agenda Europea. Di seguito e in allegato il comunicato stampa congiunto e una proposta in 13 punti per la nuova Agenda sulle migrazioni.
Per leggere il report del Consiglio: https://www.bing.com/search?q=Consiglio+Ue+giugno+2017&qs=n&form=QBRE&sp=-1&pq=consiglio+ue+giug&sc=0-17&sk=&cvid=AA9B7B529090440887A69243CB4FC02E
MIGRAZIONI, L’EUROPA DEVE FARE DI PIÙ
Urgente una nuova Agenda europea e italiana sulla politica migratoria
Dei 65,6 milioni di rifugiati e sfollati del mondo, l’Europa ne accoglie solo 3,5 milioni, lo 0,68% della popolazione europea
#AgendaMigrazione
Roma, 20/6/2017_Una lettera aperta inviata ieri al Governo, al Parlamento e agli Europarlamentari italiani per chiedere un cambio di rotta nella gestione europea e italiana della crisi migratoria.
Alla vigilia del Consiglio Ue del 22 e 23 giugno, le reti delle organizzazioni della società civile italiana – al lavoro ogni giorno al fianco delle decine di migliaia di migranti arrivati nel nostro paese – lanciano un appello congiunto alle istituzioni italiane ed europee indicando in una road map, le misure indispensabili e urgenti per un cambio di rotta nella gestione dei flussi migratori in Italia e una nuova e più efficace Agenda Europea.
“Sono passati due anni dall’adozione dell’Agenda Europea sulla Migrazione (European Agenda on Migration) – scrivono le organizzazioni firmatarie – vale a dire l’insieme di misure per la gestione delle migrazioni sia all’interno che all’esterno delle frontiere dell’UE. Ebbene in questo tempo abbiamo assistito all’attuazione delle principali misure di cooperazione con i paesi di origine e transito mediante il Migration Partnership Framework, all’apertura degli “hot spot” in Grecia e in Italia e all’adozione del meccanismo di ricollocamento (relocation). Ma non possiamo affermare che la condizione delle persone migranti che arrivano in Europa sia migliorata, né quella dei paesi europei che sono in prima linea come Italia e Grecia”.
Diversi i punti a destare perplessità nelle politiche adottate per affrontare una crisi in cui si conta il più alto numero di sfollati e rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale, con 65,6 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa a causa di conflitti, disastri naturali, persecuzioni o violazioni dei diritti umani. Basti guardare all’impegno europeo nell’accoglienza, che appare del tutto insufficiente: a fine 2016, secondo i dati dell’UNHCR in Europa erano presenti 3,5 milioni tra richiedenti asilo e rifugiati, ossia lo 0,68% della popolazione europea. Uno sforzo in termini di ospitalità di rifugiati in cui i paesi dell’UE hanno accolto solo circa 5% dei rifugiati del mondo.
L’approccio securitario dell’Agenda Europea e italiana
“L’Agenda si è rivelata sostenuta da logiche securitarie, tendenti ad escludere dal territorio europeo i migranti, delegandone la gestione a paesi terzi già sovraccaricati di responsabilità”, continuano le organizzazioni firmatarie nella lettera inviata ieri. Su tutti a destare maggior preoccupazione sono le conseguenze dell’accordo tra Ue e Turchia ad oltre un anno dalla sua adozione. Un provvedimento che senza fermare davvero i flussi verso la Grecia, ha avuto come effetto diretto di intrappolare nel paese ellenico decine di migliaia di persone costrette a sopravvivere in condizioni disumane, costringendone molte altre ad intraprendere rotte sempre più pericolose – ad esempio attraverso la Bulgaria – ed esponendole quindi a trattamenti inumani e degradanti. Sorte uguale toccherebbe ai migranti nei paesi di transito e origine africani, se l’accordo tra Italia e Libia – avvallato dall’Unione europea – trovasse piena applicazione.
“La chiusura della rotta centrale del Mediterraneo non servirà a bloccare i flussi, ma solo a fargli prendere altre strade, più pericolose e infestate di trafficanti di esseri umani. facendo crescere in maniera rilevante il numero dei morti in mare – aggiungono i firmatari dell’appello – E’ indispensabile regolarizzare i flussi offrendo misure di reinsediamento, canali umanitari, ricongiungimenti familiari, e disponibilità all’entrata nel mercato del lavoro, con una responsabilità realmente condivisa”.
Un quadro a cui si aggiunge l’applicazione in modo illegittimo del sistema hot spot in Italia – in quanto non supportato da alcuna norma – per di più a fronte del non rispetto degli impegni sulla relocation dei migranti a livello europeo: su 160.000 richiedenti asilo da ricollocare da Grecia e Italia verso altri stati membri, ne sono stati ricollocati solo 21.313 al 15 giugno 2017.
Il rischio rappresentato dai nuovi CIE in Italia: fondamentale andare oltre l’emergenza
Veniamo infine alle conseguenze delle misure introdotte dai cosiddetti decreti Minniti-Orlando, che presentano gravi rischi di retrocedere rispetto alla tutela dei diritti dei migranti.
Tra i punti che destano maggiore contrarietà da parte delle organizzazioni firmatarie dell’appello, il ruolo dei Centri permanenti per il rimpatrio (CPR), nuova denominazione per gli attuali CIE, che saranno creati in ogni regione senza, ad oggi, avere certezze sulle modalità con cui sarà garantito il pieno rispetto dei diritti delle persone trattenute. Già perché assieme viene prevista l’abolizione del secondo grado di giudizio per il riconoscimento del diritto di asilo e la limitazione del contraddittorio nell’unico grado rimasto; oltre alla previsione di un’unica procedura per le espulsioni, che sarà valida tanto per chi ha commesso reati e viene da periodi di detenzione, che per il lavoratore straniero privo del permesso di soggiorno, magari perché costretto a lavorare in nero o a lavori stagionali di breve durata.
Basta guardare i dati. In Italia nel 2016 abbiamo avuto circa 180 mila arrivi via mare e circa 174.000 persone sono state inserite nel sistema di accoglienza, pari allo 0,2% della popolazione italiana. Allo stesso tempo i minori stranieri non accompagnati censiti ad aprile di quest’anno erano 15.939 mentre quelli semplicemente scomparsi dal sistema di accoglienza nel 2016 sono stati 27.995 (un +27,94% rispetto al 2015).
Le richieste per un cambio di rotta
Per correggere l’attuale approccio definito dall’Agenda Europea per le Migrazioni e i provvedimenti assunti dal Governo italiano, le organizzazioni firmatarie chiedono quindi che:
- I cosiddetti compacts, definiti con i paesi terzi, siano finalizzati a favorire politiche di sviluppo umano sostenibile nei paesi di origine e di transito dei flussi migratori e non al mero controllo delle frontiere;
- L’UE e gli Stati membri effettuino operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) con il solo scopo di salvare vite umane
- L’UE e i suoi Stati membri garantiscano alle persone che si trovano ai loro confini l’accesso ad un equo ed effettivo diritto di richiedere asilo
- I richiedenti protezione internazionale in Europa abbiano il diritto a una procedura giusta ed efficace
- Chiunque richieda la protezione internazionale in Europa, inclusi tutti quelli in attesa di pronunciamento o già respinti e in attesa di rimpatrio, abbia diritto a ad un’accoglienza dignitosa ad accedere a servizi adeguati
- Gli stati membri rivolgano particolare attenzione alle esigenze specifiche delle donne, dei bambini e delle persone vulnerabili, indipendentemente dalla nazionalità o dalla concessione del diritto asilo
- I migranti non vengano considerati come detenuti in centri di accoglienza al solo fine di essere identificati
- Gli Stati Membri contribuiscano per la loro parte alla risposta globale sul forced displacement
- Gli Stati membri sviluppino canali sicuri e regolari per rifugiati e migranti
- Il reinsediamento, i visti umanitari e altri programmi di condivisione delle responsabilità, tra gli Stati membri dell’UE, vengano gestiti in modo trasparente. Dando la priorità alle persone più vulnerabili e non discriminando sulla base della nazionalità, della religione, del genere o dell’etnia
- L’UE e gli stati membri facciano ritornare le persone nei loro paesi di origine solo attraverso procedure fondate sul rispetto dei diritti umani, e mai a condizioni che li possano mettere in pericolo
- Gli schemi e le procedure di ricongiungimento familiare per rifugiati e richiedenti asilo siano facili da praticare e garantiscano che le famiglie siano in grado di riunirsi nel minor tempo possibile