Donne e madri migranti: famiglia, lavoro e sacrifici
Associazione per i Diritti umani, con Laura Notaro, ha partecipato al Congresso mondiale dei diritti umani.
Questo è il nostro intervento/appello:
Donne e madri migranti: famiglia, lavoro e sacrifici
Buongiorno,
innanzitutto ringrazio Alicia Erazo per questo invito e ringrazio voi per essere qui.
Questa mattina parlerò di un argomento che ci sta molto a cuore: quello delle donne immigrate che lavorano in Italia, in particolare come collaboratrici domestiche.
Lo scorso febbraio, Associazione per i Diritti umani ha organizzato un convegno con Silvia Dumitrache (Associazione Donne Rumene in Italia) su questo tema.
Abbiamo ascoltato le parole di signore rumene, moldave, peruviane, perché sono di tante nazionalità le donne che lasciano il proprio Paese e la propria famiglia per cercare lavoro qui o in altri Paesi europei, in cui le condizioni economiche e di vita sembrano essere migliori. Ma qual è il prezzo pagato per queste donne (giovani e meno giovani) e per le loro famiglie, rimaste nel territorio di origine?
I figli hanno diritto ad avere le loro madri accanto, così come le mogli e i mariti hanno il diritto di crescerli insieme. I genitori delle donne emigrate – spesso anziani – sono costretti a non vedere per molti anni le figlie e si ritrovano a sostituirle. A questo proposito vi consiglio la visione del documentario intitolato “Figli sospesi” (passato come SPECIALE anche al TG1) che parla proprio degli orfani bianchi, left behind.
E’ importante sensibilizzare, con ogni mezzo, per poi fare rete e proposte concrete alle istituzioni; crediamo sia importante una collaborazione concreta tra le autorità italiane e quelle dei Paesi di provenienza delle lavoratrici.
Crediamo sia importante l’ascolto delle loro testimonianze per raccogliere i dati necessari per capirne i bisogni e migliorarne le condizioni di vita e di lavoro.
Le signore che trovano lavoro in Italia come collaboratrici domestiche hanno spesso alle spalle lunghi percorsi di studi o altre professionalità più qualificate, ma di questo non si parla mai abbastanza. E’ una prima difficoltà che, tra l’altro, accomuna le donne italiane e le donne straniere perché molte italiane sono soggette ad un sistema lavorativo che le penalizza.
Soltanto in Romania sono 750 mila i bambini che, almeno per un periodo, hanno vissuto senza una madre. Bisogna investire, anche economicamente, affinché i genitori possano fare i genitori, perché le madri lavorano lontano e i padri, in molti casi purtroppo, si lasciano andare e così i minori e i ragazzi più grandi si sentono abbandonati oppure, come dicevo prima, vengono allevati dai nonni. Esistono situazioni positive in cui i membri di una famiglia si aiutano a vicenda e i bambini vanno a scuola, ma in tanti si ritrovano soltanto a lavorare nelle campagne. A questo, inoltre, si aggiunge la sofferenza della madre all’estero.
Da una ricerca sociologica – riportata dalla Dott.ssa Paola Benizzone, basata sulle interviste a donne dell’Est Europa (tra cui ucraine) e asiatiche (filippine, in particolare) – emerge che la situazione delle donne rumene è leggermente privilegiata perché godono della libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea e questo è un altro diritto su cui è necessario porre l’accento. L’assenza di confini, infatti, permette il ricongiungimento con i figli, le visite dei parenti e la circolarità del genitore. Le donne latinoamericane, ad esempio, entrano in Italia con il Visto turistico e, per rimanere a lavorare qui, devono essere regolarizzate dal datore di lavoro, ma quanti sono disposti a farlo? E quanto tempo passa prima di ottenere il permesso di soggiorno? Come vediamo, il tema di cui stiamo parlando stamattina ne porta con sé molti altri.
Il lavoro domestico e (così come quello sessuale sulle strade) sono i settori in cui si può parlare di “riduzione in quasi schiavitù”: spesso le donne subiscono molestie, sono sottopagate, il loro lavoro non è soggetto a tutele pensionistiche. Anche se una madre è lontana, non smette di essere genitore: pensa al benessere dei figli e invia denaro ai propri familiari, pur essendo costretta a delegare la propria genitorialità ad altre persone.
La lontananza dal nucleo familiare è un trauma per queste donne e per i loro familiari. Le persone si ammalano. I nostri cari si ammalano e vengono seguiti dalle ragazze e dalle donne straniere; ma anche loro si possono ammalare. Come tutelare la loro salute? Quali sono i diritti sanitari per coloro che non vengono regolarizzate? Ho conosciuto molte donne che avevano paura di recarsi dal medico proprio perché senza documenti.
E, infine, quanti conoscono la situazione psicologica di queste donne? La solitudine, l’isolamento, la mancanza di tempo per sé stesse, la lontananza dai figli e dai propri cari: tutto questo può contribuire al fatto che si ammalino di depressione, una malattia grave, ma invisibile.
Noi tutte e tutti siamo chiamati in causa: dobbiamo trovare i punti in comune con queste donne e rimettere al centro l’empatia. Dobbiamo interrogarci anche su quale sia diventato il nostro rapporto con la malattia, la morte, la cura e come conciliamo la famiglia e il lavoro. Le istituzioni (i governi, i ministeri) hanno il dovere di attuare politiche serie di inclusione che riguardano tutti gli aspetti della vita di una persona, italiana o straniera che sia.
Grazie.