Venezuela: scudi di legno e popolo fantasma
di Tini Codazzi
“Yo soy libertador”, questa frase era scritta nella maglietta che indossava Neomar Lander, studente di liceo di 17 anni il giorno in cui è stato ammazzato da una bomba lacrimogena lanciata al petto. Lui è uno dei tanti ragazzi venezuelani morti in mano alla Polizia Nazionale Bolivariana del Venezuela e alla Guardia Nazionale Bolivariana, due corpi di forze dell’ordine che: sparano, picchiano, torturano, rubano e terrorizzano sistematicamente la gente sotto gli ordini del ministero della difesa e della presidenza. Con l’inizio delle manifestazioni di piazza ad aprile è nato un movimento spontaneo studentesco e giovanile battezzato con il nome di “Resistencia”, lottano contro le forze dell’ordine della dittatura muniti di caschi in testa e scudi di legno per proteggersi dai lacrimogeni e dai proiettili. Sono ragazzi che in prima linea durante gli scontri lanciano indietro i lacrimogeni che cadono per terra e sassi, la maggioranza non ha mai conosciuto “l’altra” Venezuela, quella libera, sì con problemi e sottosviluppo, ma aperta, sorridente, lavoratrice, fiduciosa e tranquilla. Ragazzi forti che non vogliono vivere in dittatura, di tutte le classi sociali, pieni di rabbia dentro. Sono loro gli obbiettivi della Polizia e della Guardia, sono ricercati anche fuori dalle manifestazioni, ma il pericolo è che potrebbero essere come una pentola a pressione, con il passare dei giorni sono sempre più agitati e nervosi, poco obiettivi e forse questo sminuisce l’origine della resistenza pacifica e ragionata, la paura è che questa “Resistencia”, quasi poetica, possa voltarsi contro loro stessi per il potere che ha il governo.
Molti di questi giovani sono tra le 108 persone morte negli ultimi due mesi di agitazioni, una cifra ovviamente non confermata dal governo, perché la versione ufficiale è di 75 deceduti. La situazione giorno dopo giorno diventa sempre più complicata e tragica. Le diverse manifestazioni di piazza avvengono tutti i giorni e con modalità diverse, adesso la società civile si organizza per fare quello che chiama il “plantón”, cioè il fermo o il blocco: per un tot di ore al giorno le città si paralizzano, le persone non lavorano e chiudono strade, tangenziali e arterie varie del paese. Una ribellione pacifica in assoluto contrasto con il comportamento della Polizia Bolivariana e la Guardia Nazionale che per far allontanare le persone commettono dei soprusi inimmaginabili: terrorizzano con i loro blindati e le loro moto, rubano borse e cellulari, picchiano uomini e donne disarmati, sparano, sequestrano, arrestano senza dare informazioni dei luoghi dove portano le persone. Ci sono stati più di 3000 arresti solo in questo periodo, prigionieri rinchiusi in posti non ufficiali, bensì in luoghi improvvisati dove torturano, maltrattano e violentano i detenuti. Tutto questo in totale impunità, le reti sociali come twitter e instagram sono piene di questi fatti, perché per fortuna c’è sempre qualcuno con un cellulare in mano che registra, diffonde e denuncia.
Un altro capitolo è quello dei prigionieri politici, si sa in modo non del tutto ufficiale che dal 2003 sotto il governo di Hugo Chávez è iniziata questa violenza. Il “Foro Penal Venezolano”, una ONG molto attiva nata per difendere i diritti umani dei cittadini, ha denunciato 397 prigionieri politici in tutto il paese. Nel mondo si conoscono alcuni nomi che sono diventati simboli, ma degli altri, più di 390 uomini e donne rinchiusi nelle diverse carceri venezuelane non sa niente, non se ne parla, sembrano fantasmi e siccome sono sconosciuti, e non sono personaggi pubblici ma gente normale, sono i più maltrattati e torturati. Leopoldo Lopez, dirigente politico del partito Voluntad Popular detenuto nel 2014 in un carcere militare e condannato a 13 anni, è forse il simbolo principale di questa ingiustizia. Antonio Ledezma, sindaco di Caracas e senatore della Repubblica detenuto nel 2015 è agli arresti domiciliari. Il Generale Ángel Vivas, detenuto ad aprile di quest’anno e ripetutamente torturato a seconda delle denunce della sua famiglia. Questi nomi sono i più conosciuti, ma chi conosce Lorent Saleh, presidente di una ONG, detenuto dal 2014 e rinchiuso ne “La Tumba”? . O Steyci Escalona, attivita umanitaria di 31 anni, detenuta a gennaio di quest’anno e prigioniera in un carcere militare? Nominare tutti i 397 prigionieri sarebbe un atto dovuto, perché ognuno di loro è importante, ognuno è un essere umano e merita rispetto. E’ anche importante continuare a parlare e denunciare quello che succede a “La Tumba”, carcere con sette celle di tortura di massima sicurezza ubicata sotto terra nel cuore di Caracas, un luogo in cui immaginiamo ci possano essere i più sanguinolenti terroristi islamici e non semplici studenti universitari, perché gli ospiti di queste agghiaccianti celle sono tutti giovani studenti o giovani rappresentanti politici che hanno soltanto, in questi ultimi anni, manifestato il loro dissenso e aiutato la popolazione.
A tutto questo si può aggiungere la politica di terrore che questo regime sta mettendo un atto nelle principali città del paese. In alcuni casi i cosiddetti “comandos”, paramilitari al comando del governo passano con le loro moto nei quartieri delle città e spaventano la gente, sembrano dei branchi di bestie fuori controllo: saccheggiano negozi, rubano, terrorizzano anziani e bambini, distruggono macchine e palazzi e visto che ci sono, feriscono o picchiano a sangue qualcuno che ha il coraggio di uscire per difendere la propria casa o la propria famiglia. Il regime, non contento, ha dato ordini anche alla Polizia Bolivariana di fare la stessa cosa, quindi non solo entrano nei quartieri i “comandos”, ma anche la Polizia per fare la stessa cosa e per di più, effettuare arresti arbitrari. Terrore costante, di giorno e di notte. Alcuni di questi civili arrestati sono poi messi in libertà, altri invece vengono sequestrati o processati, in base a fatti inesistenti, da tribunali militari. Il Foro Penale Venezuelano ha dichiarato che in questo periodo 415 civili sono stati processati da tribunali militari e invece 404 civili sono ormai diventati prigionieri politici. Il perché di questi arresti è soltanto il dissenso descritto attraverso le parole durante manifestazioni, o durante le assemblee universitarie, o scrivendo articoli sul giornale, o rilasciando interviste in TV, o scrivendo Twitter o messaggi sui social network, o difendendo altri prigionieri politici o semplicemente partecipando alle manifestazioni… queste sono le motivazioni. Questa è la dittatura. Non parlare, non sentire e non guardare. Ma siccome il popolo ha fame e sta morendo, i ragazzi della “Resistencia” si stanno innervosendo, altro che non parlare e non guardare, ormai si urla e si diffondono tutti i soprusi quotidiani, si denunciano gli arresti, le violazioni dei diritti umani, i sequestri e i disastri che avvengono, non si può nascondere niente e così il governo è nervoso, finalmente traballa, ormai ha perso quasi tutta la popolarità, le statistiche dicono che l’80% della popolazione non vuole più Nicolas Maduro come presidente, soprattutto quella fetta di popolazione povera e scolarizzata che è stata la più penalizzata in questi ultimi 17 anni.
La speranza è che la Corte Penale Internazionale all’Aia, che ha già ricevuto e ammesso il materiale con più di 600 prove e testimonianze di violazioni dei diritti umani dal 2002 ad oggi, si sbrighi, apra le indagini e inizi un processo penale contro i responsabili. Che i tempi siano brevi e che il governo venezuelano possa pagare tutto il male che ha fatto e sta facendo ancora. Tutti questi morti, sequestrati, torturati e prigionieri politici non sono numeri, sono persone che hanno un nome e un cognome, una famiglia e avevano una vita.
BASTA YA! NO MÁS DICTADURA!
Informazioni sulla campagna internazionale “Venezuela somos todos” per fare pressione nell’Aia: @vstmundo, #QueHAYAJusticia.
Informazioni sui prigionieri politici in Venezuela: foropenal.com @PorHumanidad.
Il silenzio del mondo è diventato assordante. Tutti ritengono che è inumano quello che sta avvenendo ma quelli che governano tacciono. Si voltano dall’altra parte, perché:
– è un paese molto lontano da noi è non possiamo incidere sulla loro situazione
– abbiamo molti problemi, vedi l’esodo di massa degli immigrati, la crisi è tralasciamo di occuparci degli altri.
Dobbiamo parlarne, diffondere quello che sta succedendo in Venezuela, partecipare alla tragedia delle tante persone venezuelane che vivono in Italia lavorando e contribuendo a migliorare il nostro paese, glielo dobbiamo in segno di gratitudine con la speranza che la nostra voce si unisca alla loro, tante gocce possano confluire nel mare e scuotere le coscienze di coloro che possano rendere possibile il miracolo di riportare la libertà è i diritti umani in quel Paese martoriato