“Stay human, Africa”: Migranti climatici e riflessioni sul caso
di Veronica Tedeschi
Il mondo è diviso in due, che ci piaccia o no.
Da un lato del ring troviamo la stanca Somalia con livelli di siccità altissimi e con fiumi divenuti ormai rigagnoli e dall’altra il Regno Unito che vanta ogni anno 565 chili di cibo a persona sprecati.
Sarebbe troppo banale scrivere un articolo su quanto l’Occidente sia bravo a sprecare e su quanto in Africa si muoia di fame; mi piacerebbe infatti approfondire la situazione reale di questi paesi a partire dalla prima citata: la Somalia.
Dal 1960 la storia di questo paese può essere riassunta in poche parole: dittatura e guerra. Ad aggravare l’instabile situazione politica, che non sarà approfondita in questo articolo, dal 2011 si è aggiunta una carestia di ingente portata che ancora oggi sta avendo delle conseguenze durissime. La siccità degli ultimi anni ha creato un disastro umanitario che ha destabilizzato ulteriormente la situazione dell’Africa orientale. Circa 6 milioni di persone si sono trasformate in profughi, quelli che a noi occidentali piace chiamare profughi climatici ma per i quali all’interno della Convenzione di Ginevra, non vige nessuno status di riconoscimento. Ciò significa che coloro che sono costretti a scappare a causa del cambiamento climatico, amplificatore di condizioni di vulnerabilità preesistenti come nel caso della Somalia, non hanno diritto allo status di rifugiato. Si trovano in un limbo tra coloro che scelgono di abbandonare il proprio paese in cerca di migliori condizioni di vita, e gli sfollati, repentinamente costretti da eventi esterni e calamità naturali allo spostamento.
Nel Sud della Somalia, il fiume Giuba è divenuto un rigagnolo, i bambini sono stati costretti a lasciare le scuole e i vecchi si lasciano morire. L’assenza di piogge in queste zone, che presumibilmente continuerà ancora per molti mesi, ha trasformato il terreno in terra non coltivabile e ha portato ad un assenza di acqua tale da costringere le persone a scappare.
Anche le conseguenze sanitarie sono disastrose, l’assenza di acqua pulita ha portato ad un aumento dei casi di colera, si stimano circa 300 nuovi contagi al giorno, con decine di vittime.
La Somalia non è sola in questa lotta alla fame e al cambiamento climatico, nel ring troviamo al suo fianco anche l’Etiopia o, ancora la Nigeria. In Etiopia la stagione delle piogge è ormai divenuta inesistente “Non ci sono più le mezze stagioni”.
Nella regione etiope di Yabelo circa l’80% del bestiame è andato perduto e milioni di persone hanno iniziato a spostarsi per sfuggire a un clima tanto perfido.
Nonostante la fame e il cambiamento climatico siano stati evidenziati come potenziale minaccia dalla maggior parte dei governi mondiali sembra ancora complicato agire per garantire il diritto dell’uomo a vivere in un ambiente sano. Perché, riconosciuta la gravità di questa situazione, non si riesce ad assicurare uno status ottimale a tutti?
Analizzando la situazione attuale, le “incombenze” di Stati Uniti ed Europa ad oggi sono sicuramente l’avanzata dello Stato Islamico e la crisi economica globale che stanno mettendo in discussione la nostra sicurezza e la nostra tranquillità; molte risorse, infatti, sono giustamente destinate a queste problematiche. Nulla di sbagliato in questa frase, i governi stanno agendo più o meno bene per garantire la sicurezza dei proprio cittadini; ma cosa possiamo fare noi? Possiamo fare qualcosa?
Secondo la FAO il Regno Unito spreca 565 chili di cibo a persona ogni anno, in Germania circa 20 milioni di tonnellate di cibo vengono gettate via (circa 575 chili a persona annui). Ancora, ogni norvegese scarta circa 630 chili di prodotti alimentari ancora edibili in anno e per finire il Canada, uno dei paesi più sviluppati al mondo, vanta il primato di avere Toronto come peggiore città a livello di rifiuti alimentari.
Queste poche parole non sono state riportare per incolpare ciascuno di noi dei cambiamenti climatici in corso oggi in Africa (sarebbe stupido farlo), vogliono solo suscitare un minimo di consapevolezza sull’importanza delle nostre azioni, piccole o grandi che siano.
Non possiamo di certo affermare che il non sprecare il nostro pranzo possa salvare la vita di qualcuno ma dobbiamo essere consapevoli che ogni cosa che facciamo potrebbe essere, nell’insieme di uno Stato, importante e magari modificare l’andamento di qualcosa.