“LibriLiberi”: Il comandante del fiume
Ecco, care lettrici e cari lettori, il secondo romanzo di Ubah Cristina Ali Farah, figlia di padre somalo e di madre italiana, cresciuta a Mogadiscio da quando aveva tre anni fino allo scoppio della guerra civile del 1991.
Autrice di un primo racconto, bellissimo, intitolato Madre piccola, in cui – tramite vari punti di vista che, come in una narrazione teatrale, si fanno giochi di specchi – descrive i sentimenti di una ragazza costretta a lasciare il proprio Paese d’origine a causa della violenza di un conflitto, una ragazza profondamente legata alle proprie origini, alla propria nutrice, alla propria terra, Ali Farah torna con questo libro, Il comandante del fiume (edito da 66THAND2ND) e sposta lo sguardo che diventa maschile.
Il protagonista, infatti, si chiama Yabar: diciotto anni, poca voglia di studiare, vivace e ribelle nella Roma di oggi. Vive solo con la madre, Zahra, perchè il padre li ha abbandonati, ma la sua famiglia è composta anche da una zia acquisita, Rosa, e da sua figlia, Sissi, per lui come una sorella.
Ritornano i rimandi e le simmetria tra i personaggi: un nucleo familiare in cui le donne sono le più forti e le più sagge, Zia Rosa e Zahra, che hanno in comune un Passato difficile nella capitale somala (quando le scuole erano quasi tutte italiane), la perdita di persone care e l’amore per le storie e le canzoni con cui crescono i figli.
C’è una leggenda, in particolare, da cui prende avvio tutta la vicenda e fa così: dato che in Somalia c’era una forte carestia a causa della mancanza di acqua, il popolo affida a due uomini l’incarico di creare un fiume. Nel fiume, però, nuotano i coccodrilli. Qualcuno deve governarli per consentire l’accesso all’acqua e così viene eletto un comandante in grado di ammansire le bestie con i suoi poteri. Yabar ha ascoltato questa leggenda per tanti anni, ma – come monito anche per noi lettori – Ali Farah scrive: “ …Una storia non si può cogliere al primo sguardo, bisogna armarsi di pazienza e mettersi in ascolto. Riconoscere, per esempio, che sono le nostre scelte a mostrare di che pasta siamo fatti”.
I temi intrecciano il Passato e il Presente, con diversi salti temporali: la guerra di allora e quelle attuali, sullo sfondo; le conseguenze di tutti i conflitti sui civili, coloro che sono rimasti lontani e coloro che sono emigrati; il colonialismo e ciò che ha lasciato nei ricordi, nelle abitudini e nelle speranze più o meno disilluse.
Yabar vive nelle strade e nelle piazze di una Roma ai margini, all’isola tiburtina o sulle sponde del Tevere, circondato da una umanità anch’essa al limite della legalità, del conformismo e quindi emarginata: poveri, malati, tossici oppure Rom, vecchi, migranti…Il suo punto fermo, nella sua esistenza di adolescente inquieto e privo di risposte, sono le donne: la madre severa e reticente alle sue domande, la zia bibliotecaria e ottimista e la quasi sorellina Sissi che “pensa che tutte le cose siano connesse – l’uomo, la natura – è fissata coi simboli. Secondo lei correre significa essere perseveranti, perchè nella vita, in ogni campo, se non sei tenace non ottieni un bel niente”.
Grazie a loro Yabar inizia a compiere un percorso di formazione, raccontato con le espressioni semplici di un ragazzo della sua età, ma che per lui non sarà né facile né gratificante. Lentamente, cercando indizi e unendo tasselli di frasi di madre, di sguardi di zia, di scelte di amici, il ragazzo diventerà uomo: anche a suon di pugni, di pianti e di grida perchè crescere da straniero in una città in cui sei nato, è dura. Perchè trovare la propria strada (soprattutto quando si cresce in una famiglia che appartiene a due culture diverse e una è stata colonizzatrice) è dura. Perchè non sapere quasi nulla del proprio padre e fare fatica ad avere risposte, è dura.
Il padre è colui che dovrebbe rappresentare la disciplina, le regole, la stabilità; la madre, la dolcezza, l’accoglienza, la cura. Nel caso di Yabar, i ruoli si sono invertiti. Zahra tende a voler dimenticare (o così fa credere). Rosa vuole vivere con serenità il Presente e Sissi, così studiosa, cerca di costruirsi un Futuro, migliore di quello delle due donne che appartegono alla generazione precendente.
Fin da piccolo Yabar ha creduto che suo padre avesse deciso di diventare un comandante, ma come quello della leggenda, ovvero un uomo onesto e con la capacità di proteggere i propri cari e il proprio popolo dai nemici. Tutte le persone intorno a lui (anche coloro che conoscevano il genitore) provano a proteggere il ragazzo dalla verità, ma “un conto è intuirla, la verità. Un altro è dirla ad alta voce”.
Yabar non sopporta la musica, quando invece ne è circondato: solo il Sibarita, il suo migliore amico, sa che lui ama il silenzio e sa quando sia il caso di parlare. La musica scatena ricordi e emozioni e poi ognuno deve imparare a trovare la propria. I somali, invece, tiene tutto a mente, come dice un professore del Passato, “anche i testi di cui non capiscono il significato, come il Corano o gli alberi genealogici” per paura di perdere l’identità. Ed è proprio questo l’argomento centrale del romanzo: la ricerca della propria identità, sfumata, frammentata, calpestata dalla Storia, dal Potere, dall’ Amnesia.
I pregiudizi, gli stereotipi, le discriminazioni, la cittadinanza negata: tutte questioni ancora aperte, che legano i fatti di ieri come quelli di oggi. Ghiorghis, amico di Yabar più grande di lui di un decennio, racconta un aneddoto di quando aveva tredici anni e andava a scuola alla Città dei ragazzi ed era un bravo allievo. Un giorno un insegnante gli chiede: “Di dove sei?”. Ghiorghis risponde: “Etiopia”. E così leggiamo: “Non contento l’italoamericano, gli chiese dove era nato e, quando sentì che era nato a Roma andò su tutte le furie. Cominciò a sommergerlo di parole, un misto tra inglese dall’accento americano e dialetto campano, dicendogli che lui era italiano, non etiope perchè l’Italia era il posto dove era nato, aveva ricevuto le prime carezze, fatto le prime amicizie, cominciato la scuola…”.
Slang romaneschi si mescolano a parole somale, rabbia che si unisce al pianto, il sorriso arriva lentamente, ma arriva. Così come arriva anche la verità: il comandante non è suo padre, ma è lo stesso Yabar. Il percorso è stato tortuoso, ma lui è diventato un Uomo, perchè sa cosa significa la parola “responsabilità” e ha avuto il coraggio di andare fino in fondo e di cercare il significato della propria vita. Ha capito, inoltre, quello che gli diceva sempre sua madre: che i coccodrilli sono il Male necessario e che, per dominarli, occorre una grande determinazione.