“LibriLiberi”. Il simpatizzante
Si ricorda poco la guerra in Vietnam, ma si tratta di Storia piuttosto recente che dovrebbe far riflettere sui conflitti in corso. Ne parla lo scrittore Viet Thanh Nguyen – professore universitario e qui alla sua opera prima di narrativa – con il romanzo intitolato Il simpatizzante, edito da Neri Pozza.
Siamo a Saigon, nel 1975. Nel mese di aprile, un mese significativo in cui la guerra, lunga ed estenuante, ha iniziato a perdere colpi: il fronte del Nord vietnamita ha ceduto davanti all’avanzata dei Vietgong e il generale capo della Polizia Nazionale del Vietnam del Sud si appresta a fuggire negli Stati Uniti, suoi alleati. Il più fedele dei suoi uomini, il Capitano, è in realtà una spia dormiente, un uomo dalla doppia identità che invia regolarmente i dispacci militari a Man, amico e addestratore in Vietgong. Man e il Capitano formano un trio con Bon, che deciderà di entrare a far parte del famigerato “Phonenix Program” della CIA.
Questi, in breve, gli antefatti e i personaggi principali del racconto, adatto per chi ama le storie di guerra e di spionaggio, ma vi segnaliamo il libro perchè non si tratta solo di questo, anzi! E’ uno dei testi più profondi degli ultimi anni.
L’autore, infatti, fa parlare il Capitano in prima persona, in una lunga confessione che parte così: “ Sono una spia, un dormiente, un fantasma, un uomo con due facce…Sono semplicemente in grado di considerare qualunque argomento da due punti di vista antitetici” e già in questa presentazione si colgono due riferimenti importanti: il primo all’identità e il secondo ad un approccio filosofico alla realtà. L’identità: il capitano è figlio di una vietnamita e di un colonizzatore europeo e questo segnerà le sue scelte. La figura materna ricorre per tutto il testo come esempio di rettitudine in un mondo dominato dalla violenza e dall’ipocrisia (il padre era un sacerdote cattolico, mai presente nella vita dei familiari…). La filosofia è Pensiero critico e questo viene riportato dai continui dubbi e dai sensi di colpa del Capitano di fronte all’orrore per la lotta per la libertà.
Il protagonista è costretto a scrivere questa sua lunga e dettagliata confessione in cui narra al Comandante (sono entrambi senza nome), le tattiche militari dei soldati del Nord e del Sud, dei Vietgong, la fuga, il ruolo dei media e dei cittadini comuni…E, mentre le vicenda si dipana, è sempre più difficile stabilire chi sono i “buoni” e i “cattivi” perchè le ideologie possono essere giuste o sbagliate a seconda della parte in cui si sceglie di stare e perchè in ogni essere umano si annida l’istinto al Bene e al Male e dipende quali valori si decide di far prevalere.
Sono molti i riferimenti letterari e colti che Than Ngueyen inserisce nel fiume di parole del suo alter-ego, citando spesso Marx e i suoi seguaci, partendo dalle considerazioni utili per la difesa dei diritti del popolo, contenute ne Il capitale, per poi farne anche una critica alla deriva autoritaria successiva per volontà di molti, anche oggi.
Un testo scritto tutto di seguito (e per questo anche molto interessante), senza virgolettati e con poca punteggiatura, perchè si tratta di uno “svuotamento” della coscienza, catartico e costruttivo, per tutte e tutti coloro che lo hanno letto e che lo leggeranno.
Dopo essere stato costretto a nascondere, per tanto tempo, la propria vera identità, a negare le proprie origini, a patire per queste stesse, finalmente il Capitano getta la maschera e osa esprimere le proprie idee e le proprie opinioni, seppur non ancora del tutto messe a fuoco fino in fondo perchè i dilemmi etici sono ardui da risolvere. Le ultime cento pagine parlano e descrivono una tortura, fisica, mentale e disturbante (altro tema attuale, purtroppo), mai necessario nella vita reale, ma qui finalizzata a far emeregere fino in fondo il parere del’autore sul significato e l’utilità dei conflitti, parere e lezione che dovrebbero essere chiari a tutte e a tutti.
Lo scrittore fa parlare anche altri personaggi, per lo più maschili, più portati alla guerra: la madre del Capitano è la figura femminile principale, sempre presente nei suoi ricordi, che proprio per questo, rappresenta la Memoria che non va sepolta per non continuare a commettere gli stessi errori che portano al genocidio di intere etnie e popolazioni; è l’unica donna in grado di rischiarare il buio di un Paese devastato dalla carneficina e dall’ottusità di uomini assetati di Potere. Anche gli intellettuali sono ben chiamati in causa: interessante la figura del giornalista e del regista di un documentario. Quest’ultimo crede (o fa finta di farlo) di realizzare un’opera neutrale, ma cede alla vanagloria e finisce con il confezionare un film di propaganda, “giocando” sul rapporto tra realtà e finzione e creando uno scambio metalinguistico tra Cinema e Letteratura.
Non c’è scampo per nessuno per tutta la durata della lettura che spesso assume toni davvero in linea con quello che sta accadendo ai nostri giorni: “…Non possiamo essere certi che il nostro dolore sia uguale a quello degli altri, se prima non ne parliamo. E quando cominciamo a parlarne, lo facciamo sempre in modo personale, e partendo dalla nostra cultura di riferimento…”; “ …Quel che era più buffo, non mi ero mai sentito inferiore a causa delle mie origini razziali, durante gli anni universitari. Ero straniero per definizione, perciò venivo trattato da ospite. Ora, invece, pur essendo un americano in possesso di carta di identità, patente di guida, tessera sanitaria e regolare permesso di soggiorno, Violet continuava a considerarmi uno straniero e il mancato riconoscimento della mia nuova condizione rappresentava un duro colpo alla fiducia in me stesso”.
Ma non è solo un libro che parla di Storia, di Politica, di Comunismo, è anche un testo che parla di Morte, di Etica, come detto, di Amicizia, di Decadenza, ovvero del senso ultimo della vita umana.