L’intrusa: al cinema un dilemma etico che ci riguarda molto da vicino
Napoli, oggi. Giovanna accetta di prendere in gestione uno spazio nella periferia disagiata della città per trasformarlo in un centro ricreativo, un centro di gioco, sport e amicizia che possa togliere i giovani dalla strada e dalle grinfie della camorra. Il centro si chiama “La masseria” e Giovanna decide di ospitare, all’interno della struttura, una ragazza con i suoi due figli, Maria, moglie di un pregiudicato latitante, dopo un blitz effettuato in casa loro dalle forze dell’ordine.
I genitori che frequentano il luogo di ritrovo, però, non sono d’accordo con la scelta di ospitare Maria perchè temono per l’incolumità dei propri bambini e non lo sono nemmeno i volontari. Maria è l’intrusa, Maria deve essere allontanata. Giovanna si troverà, quindi, davanti ad un dilemma: continuare o no a dare protezione alla giovane madre e ai suoi figli. Giovanna e Maria: due donne sui lati opposti della società, ma entrambe capaci di prendersi cura degli altri. Maria in grado di chiedere aiuto, Giovanna in grado di dargliene, ma non è tutto così semplice perchè bisogna fare i conti con il contesto malato e violento in cui entrambe si trovano a vivere. Saranno i più piccoli, in particolare Rita – la figlia minore di Maria – a suggerire agli adulti la soluzione possibile, ma purtroppo non quella più realistica.
Leonardo Di Costanzo, nel 2013, vince il David di Donatello con il suo film intitolato L’intervallo, in cui si occupa del mondo adolescenziale con uno sguardo attento e lucido e lo fa anche in questo ultimo lavoro, ma spostando l’attenzione maggiormente sugli adulti, coloro che dovrebbero dare un esempio positivo ai più giovani, su coloro che ci provano e quelli che, invece, scelgono una strada deviata. Stiamo parlando de L’intrusa, opera presentata con grande successo alla Quinzaine des rèalisateurs al Festival di Cannes 2017. Più che nel film precedente, qui Di Costanzo sceglie di utilizzare uno stile documentaristico e quasi con un tocco neorealista nella scelta di far recitare attori non professionisti, in particolare per le parti dei bambini e degli adolescenti, innestando nell’humus culturale difficile come quello della periferia partenopea, una sceneggiatura apparentemente semplice, ma che pone un dilemma etico molto serio.
Lo script ha visto coinvolti, oltre allo stesso regista, anche Maurizio Braucci e Bruno Oliviero e gli autori hanno dato molto spazio alle attività ricreative all’interno della Masseria, quasi a volerne sottolineare l’importanza per lo scopo ultimo di voler contrastare la mentalità corrotta e i comportamenti illeciti al di fuori, pratiche che rubano l’infanzia ai giovani e li inseriscono nel mondo crudele della mafia. Ecco, quindi, che i colori all’interno del centro contribuiscono a far tirare un sospiro di sollievo rispetto al grigio imperante della desolazione esterna. Anche la camorra rimane, per lo più, “esterna” per l’intento, di non voler creare eroi negativi (come, invece, la televisione spesso tende a fare), ma di voler dare visibilità a chi la combatte con i mezzi, anche miseri, che ha a disposizione. Giovanna (la coreografa e danzatrice Raffaella Giordano) presta al Cinema il proprio volto, ma soprattutto il corpo, che mette in gioco per comunicare i motivi della propria decisione e per difenderla con tenacia. Ma è una lotta impari, la sua. I suoi nemici sono anche le persone comuni, quelle che portano sì i propri figli alla Masseria, ma che considerano Maria una collusa con la criminalità organizzata, una incapace di riscatto. E, come lei, anche i suoi stessi bambini. Proprio loro, invece, sono le prime vittime di un sistema marcio, di una società civile che crea muri e segregazioni. La regia semplice e lineare del regista permette di entrare nelle logiche di tutti i personaggi coinvolti in una storia che diventa universale. Chi è la vera intrusa? Maria oppure Giovanna, che da sola, cerca di rompere proprio quelle barriere culturali che portano a dolore, soprusi e morte?
“Eroi della contemporaneità”, così Di Costanzo definisce le persone come la sua protagonista (o come Don Puglisi e tanti altri come loro), così come lo sono anche i carabinieri e i poliziotti, ripresi nel film nel loro lavoro, forse con un occhio un po’ troppo fiducioso da parte degli sceneggiatori. Ma il messaggio arriva chiaro: escludere Maria, la piccola Rita e gli innocenti come loro, è una sconfitta; una sconfitta sociale, che ci riguarda da vicino. Avere il coraggio di accogliere, invece, è l’unico segnale forte possibile per restituire bellezza, onestà, giustizia ai territori in cui viviamo e cresciamo le nuove generazioni, ma dobbiamo essere tutti d’accordo, altrimenti la fatica è vana e la vittoria sarà sempre del dolore, dei soprusi e della morte.