“LibriLiberi”. Io non mi chiamo Miriam
E’ difficile e doloroso aprire i cassetti della Memoria, ma prima o poi, bisogna farlo. A ottantacinque anni, Miriam tiene sempiaperti gli armadietti della cucina, tra le mura rassicuranti della sua abitazione in Svezia. “Sua”: che cosa è davvero suo, se non lo è neanche il nome?
Una verità nascosta per decenni, ritorna a galla e diventa testamento morale per la nipote Camilla e per tutti i lettori del romanzo intitolato Io non mi chiamo Miriam, della scrittrice Majgull Axelsson (anche giornalista e drammaturga), edito da Iperborea. Il vero nome della protagonista è Malika, una ragazzina Rom sopravvissuta all’inferno di Auschwitz e Ravensbruck. Questa è la verità.
Lo stile del testo è quasi cinematografico, con dissolvenze incrociate che accompagnano il lettore attraverso le epoche, dagli anni ’40 all’attualità, tramite una precisa ricerca dei dettagli degli ambienti, dei costumi, degli interni e delle atmosfere. Prima una donna anziana e sola, Miriam/Malika, che ha paura di destare i ricordi e poi la giovane Camilla, madre di Sixten. Donne, molte donne: si può quasi dire che sia un racconto al femminile in cui, tra nonna e nipote entrambe madri, si alternano figure femminili positive e negative, reali e ricordate, ma tutte forti, tenaci, sagge. Gli uomini restano sullo sfondo (il marito di Miriam, Olof, il figliastro tanto amato, Thomas, ma anche il famigerato Dott. Mengele), uomini positivi e negativi, reali e ricordati, ma tutti poco forti, poco saggi, tenaci solo nel loro intento di costruire una vita basata sull’amnesia o in quello di distruggere esistenze innocenti. Innocenti sono solo le persone che appartengono alle nuove generazioni, ignare loro malgrado di quel terribile Passato che ha segnato il ‘900, ignare soprattutto del fatto che l’Olocausto può essere più vicino di quanto si immagini.
Ogni capitolo del libro, corredato di titolo, è impreziosito anche da versi poetici (“Mi domando continuamente: perchè questi popoli sono così poveri? Forse perchè non ci sono più gli schiavi?”, Margarete Himmler) che anticipano le parti narrative; il focus del libro riguarda lo sterminio dei Rom durante gli anni del nazismo, un fatto di cui poco si parla.
Malika, è Rom, ha una famiglia, una lingua, una tradizione culturale e religiosa, ma per salvarsi, deve rinunciare a tutto, è costretta a negare la propria identità per vivere l’esistenza di un’altra ragazza, ebrea. Ritorna il tema di Primo Levi, il senso di colpa per essere sopravvissuta (a differenza della cugina Anjuska e dell’adorato fratello/figlio Didi); Miriam costringe se stessa a mentire, a soffocare i propri sentimenti, a indossare una maschera…Ma che vita può essere questa? Tanti sono gli interrogativi posti da questo romanzo: interrogativi che riguardano molti di coloro che sono costretti, anche oggi, a ripudiare le proprie origini, le proprie radici per cercare un Futuro diverso, sereno. E che riguardano anche noi che abbiamo il dovere di accoglierli.
La parte centrale del libro è atroce e non può che non essere così: vengono narrate le torture fisiche e psicologiche perpretate nei campi di concentramento contro donne, uomini e bambini. Inutile ripetere quanto sia stata banale, ovvero vuota di senso e “normalizzata”, quella violenza, quella cattiveria, quella ragionata follia. Vengono riportati fatti storici accaduti realmente, come la rivolta dei Rom contro le SS in un primo momento riuscita e successivamente sedata con la morte di migliaia di loro; viene rievocata la famigerata “ricerca scientifica” di Mengele sul Noma, una pratica talmente orribile che qui non la vogliamo riportare di nuovo.
Durante la lettura, l’elemento naturale, concede qualche momento di sollievo: una Natura che si rigenera continuamente, che sottolinea la fede nel ciclo vitale, ma che resta impassibile ad osservare il Male a cui può arrivare l’Essere umano.
Un romanzo/memento, quindi, che mescola l’indagine accurata con un lirismo consolatorio, rabbia e dolcezza, consigliato per nutrire quella coscienza storica e collettiva spesso vilmente annacquata da rigurgiti di bassa politica.