Nel far west la libertà ha un altro nome
di Valentina Tatti Tonni
<<E’ ben noto cosa succede ad Ostia, non te lo devo dire io…>>, mi dice un uomo, una voce sommata alle altre in un racconto che dagli anni Novanta tinge il litorale di rosso, come il sangue di chi non si volta dall’altra parte. Come in molte altre località della penisola, Ostia è tornata a far parlare di sé dopo le elezioni comunali, riflettori puntati dopo il biennio di commissariamento per mafia, “una mafia che non c’è” tutti si sbrigano a dire come per temere ripercussioni interne. A Nuova Ostia come in tutti i quartieri vivono anche persone per bene, di quelle che ci somigliano per aspetto e passioni, ma oggi Nuova Ostia è solo il punto da cui partono i traffici illegali delle due famiglie mafiose presenti sul territorio, soprattutto di una, quella degli Spada vicini ai Casamonica.
Quel che si può notare da un’attenta analisi socio-culturale è che si siano smarriti i punti di riferimento, senza i quali è facile farsi ingannare da personalità o movimenti che cercano, alla pari e alla stregua di chiunque altro, di ottenere qualcosa in cambio. Sono stati superati i pensieri rivoluzionari di Rousseau e Voltaire, aggirati i cardini su cui si fondò la democrazia, la lotta di classe, la giustizia sociale, tutto ampiamente ammaestrato. In simili contesti, la responsabilità civica non si spartisce e a vincere sono i più forti, nel caso di Ostia il partito di estrema destra Casapound capitanato da Luca Marsella e i clan mafiosi Fasciani e Spada.
Quest’ultimo protagonista, come sappiamo, dell’aggressione al giornalista Daniele Piervincenzi e al cameraman Edoardo Anselmi di Nemo, programma di Rai2, martedì scorso durante un servizio trasmesso successivamente in televisione. Dopo la condanna da parte delle istituzioni, la risposta vivace e solidale della categoria cui Piervincenzi appartiene, su decisione della Procura la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ha potuto attuare un decreto l’arresto per Roberto Spada, fratello di Carmine detto “Romoletto” il capo clan condannato a dieci anni in primo grado per estorsione. Roberto Spada è stato arrestato, due giorni dopo l’aggressione, giovedì 9 Novembre dai Carabinieri e portato nel carcere di Regina Coeli dove in attesa dell’autorità giudiziaria dovrà rispondere all’accusa di lesioni aggravate e violenza privata con l’aggravante del metodo mafioso. “Dimostrazione che in Italia non esistono zone franche” ha ribadito subito il Ministro dell’Interno Marco Minniti, il quale, tra l’altro, sarà presente nella sede della Fnsi mercoledì 15 Novembre alle ore 10.30 per “ribadire la necessità di adottare misure concrete e urgenti a sostegno dei giornalisti minacciati, del diritto di cronaca e del diritto dei cittadini ad essere informati su mafia, malaffare e corruzione”.
Ma dove saranno le istituzioni domani? Questo è l’interrogativo che unisce tutti i punti discordanti di questa vicenda, di questo fatto che nel racconto distrattamente ha perso la sua reale notiziabilità. Tutte le reti e i canali hanno fatto rimbalzare con virale rapidità il video dell’aggressione, come se fosse quella la notizia e non il capro espiatorio di un diritto negato per troppo tempo. Diritto alla libertà, all’espressione, alla vita. La differenza labile che si percepisce di questo caso, ennesimo della cronaca ed emerso con sempre più prepotenza, è insita nell’urgenza di parlarne e trovare una soluzione comune alla cittadinanza che oggi ha dimenticato e rassegnato l’idea di potersi considerare attiva. La notizia dunque non verte sul giornalismo, tanto spesso denigrato, ma sulla cittadinanza di cui però esso è testimone ed interprete.
E’ la categoria dei cittadini a cui è stata sottratta la libertà di Essere che dovrebbe scendere in piazza e manifestare, dovrebbe essere il centro focale della discussione, senza la paura che una corretta informazione possa rivelare e far concepire loro la realtà per quello che è e non per quello che appare.
L’opinione pubblica che vive queste realtà sembra tuttavia diffidare dell’onestà giornalistica, come se l’insieme dei suoi rappresentanti vivesse in un ambivalente rapporto con l’informazione e non è raro, infatti, vedere od ascoltare le persone farsi beffa dei cronisti con compiacente arroganza. Proprio a causa dell’assenza di punti di riferimento, ho raccolto testimonianze in cui ragazzi poco più che ventenni dichiaravano con fierezza d’animo di mostrare più rispetto per un “anti-Stato” presente, come Casapound o la mafia stessa, più che per un politico o per un giornalista a loro dire “venduto al Sistema”. Ragazzi, di diversa estrazione sociale, uniti tutti però dalla solitudine, dall’inadeguatezza, dalla povertà, dalla disperazione di non trovare un posto di lavoro, dall’intolleranza verso un immigrato che secondo una spiegazione distorta del vero avrebbe loro rubato il futuro, lo stesso che in assenza di normative efficaci si può riprendere solo con la violenza, non facendo altro che forgiare il loro senso di non appartenenza.
E’ un disagio sociale, una crisi mentale perpetrata per anni e mai del tutto guarita, laddove la politica si è disinteressata, la mafia ha fatto il resto, operando a fondo nelle arterie periferiche delle città, mascherandosi da caporali e allargando la rete di criminalità dallo spaccio di sostanze stupefacenti all’usura, all’omicidio e al sostegno verso le classi più disagiate. Perché la legge del più forte funziona male ma funziona, “benvenuta paura” diceva Nina Moric elogiando Casapound, la legge del più forte zittisce tutti e sovverte i significati, così alla fine di tutto questo trambusto mediatico l’unica verità che rimarrà a questi cittadini è che la libertà non esiste, ma che esistono solo loro.