Capire il Corano. Intervista a Farid Adly
Capire il Corano. Intervista a Farid Adly
In occasione di una nuova presentazione a Milano del saggio “Capire il Corano” di Farid Adly che si terrà domani 15 novembre presso Seicentro, in Via Savona 99 a Milano, oggi pubblichiamo la nostra intervista al giornalista che ringraziamo molto per la disponibilità.
Da dove nasce l’idea e, soprattutto, l’esigenza di scrivere questo libro?
L’idea di questo libro ronzava nella mia testa da molto tempo. Alcune parti e ricerche risalgono agli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. Come per esempio il racconto di Giuseppe, la condizione delle donne ed i collegamenti con l’epopea di Ghilgamesh. L’esigenza, invece, è legata al momento storico che viviamo con le interpretazioni jihadiste che si nascondono dietro a delle interpretazioni letterali fuori contesto storico e allo stesso tempo è legata anche al dilagare della xenofobia, figlia dell’ignoranza. Una delle note sulla quale tutti dobbiamo fermarci a riflettere è la provenienza sociale della maggior parte dei terroristi che hanno colpito nelle città occidentali, Parigi, Bruxelles, Berlino, ecc… Sono giovani di seconda generazione di migranti che vivevano ai margini della società, frequentatori di bar, bevitori di alcolici, consumatori di droga e a loro volta spacciatori. Cioè tutto tranne che retti devoti musulmani. Sono giovani in difficoltà che hanno trovato sulla loro strada personaggi politici sbagliati, sconvolgendo la loro mente con vane promesse di un paradiso nell’aldilà. Ecco, questo libro tenta di essere una guida alla lettura originale e genuina, che confuta le tesi estremiste, con argomenti che privilegiano l’uso della ragione rispetto alla cieca imitazione.
“Capire il Corano” è un titolo impegnativo: a chi si rivolge?
Si rivolge a tutti. E’ un libro divulgativo, non dedicato agli studiosi ed agli accademici, ma a chi vuole avvicinarsi al testo sacro dei musulmani. Non è un libro per far proselitismo; non sono, né un teologo, né un missionario alla rovescia. Il Corano è un libro scritto 1400 anni fa nella lingua araba della Mecca di quel tempo antico e, per ragioni teologiche, non è possibile tradurlo, ma soltanto spiegarlo in altre lingue per esprimerne il senso. Anche la sua lettura in arabo richiede, per una più compiuta comprensione, di consultare i volumi del Tafsir, l’esegesi coranica. E come ho detto nella risposta precedente, il libro “Capire il Corano” è rivolto ai giovani delle seconde generazioni provenienti dai paesi musulmani.
Come ha scelto i capitoli da commentare? E può spiegarci i tre livelli del libro?
Sono sette i capitoli del Corano (sure) che ho analizzato in modo specifico. La scelta è stata guidata da motivazioni diverse: quella estetica come per il caso della storia di Giuseppe o la Fatiha, la sura cosidetta aprente, che ogni musulmano recita tante volte al giorno; motivi dottrinali, come per la tavola imbandita, che tratta della tolleranza. Altri motivi sono legati al parallelismo tra Corano e Bibbia, come la figura di Gesù e le Genti della Caverna. Nella scelta ho ponderato anche l’aspetto storico, legato alla successione della rivelazione.
Il libro, però, analizza anche altre sure nei capitoli dedicati a tematiche specifiche, come quello della questione femminile e della schiavitù.
I tre livelli dell’interpretazione coranica sono quello teologico, filosofico e sufi. Nelle diverse fasi storiche della diffusione della fede islamica ci sono state delle interessanti contaminazioni culturali che hanno permesso di sviluppare nuove modalità di concepire l’interpretazione del testo coranico. Averroè ha tentato di coniugare il testo coranico con la razionalità dei filosofi greci, ma è stato emarginato; Ibn Arabi ha speso la sua vita in viaggi alla ricerca di una chiave di lettura che vada al di là del testo apparente. L’ottusità dei fondamentalisti, di adesso come di allora, non ha permesso che questi tre livelli possano convivere parallelamente, come tre stadi di ricerca differenti ma confluenti e non necessariamente conflittuali.
E’ d’accordo con la differenziazione tra “Corano meccano” e “Corano medinese” fatta da Mahmud Taha?
Il martire sudanese Mahmud Taha è stato un pioniere del riformismo democratico all’interno della ricerca coranica. Ha attuato studi approfonditi ed è arrivato a conclusioni avanzate che si scontravano con il potere costituito, sia quello religioso, sia quello politico; il tiranno Giaafar Numeiri, un golpista feroce, lo ha fatto impiccare in pubblico. La differenza tra le sure meccane e quelle medinesi è evidente e si palesa ad un’analisi storica e linguistica. Allo studioso attento si palesano differenze linguistiche, di stile e di contenuto. Dottrinali, interlocutorie, tolleranti e di grande respiro, le prime; comportamentali, rituali e minuziosamente giuridiche, le seconde. Ammettere questo aspetto, però, rende il testo coranico come un prodotto umano, influenzato dalle condizioni ambientali e sociali del momento e questa conclusione, per i fondamentalisti imitatori letterali, è da considerarsi eresia.
Nella conclusione auspica un “risveglio culturale”…che legame c’è tra il risveglio culturale e la religione?
La Cultura è la dimensione che ci rende esseri umani pensanti e nelle mie intenzioni, quando parlo di cultura, non c’è nessun riferimento identitario etnico o confessionale. Le fedi fanno parte del patrimonio culturale dell’umanità. Il termine occidentale ha l’etimologia latina di coltivare e non a caso le prime civiltà sono nate nelle valli dei grandi fiumi, in Mesopotamia, Egitto e India. Ecco che coltivare una venerazione per una divinità diventa un “culto”.
Le nazioni a maggioranza musulmana, nell’emisfero meridionale del pianeta, hanno subito secoli di colonizzazione. I paesi arabi in particolare sono state sottomesse, ancora prima del colonialismo occidentale, a secoli di dominio ottomano, caratterizzato da una stagnazione culturale. Il mondo musulmano ha rimuginato per secoli interpretazioni imitative di concetti statici senza rinnovarsi, mentre le nazioni europee progredivano in scienze e tecnica. Io sostengo che non basta sentirsi fieri che gli arabi abbiano introdotto in Europa la bussola e l’astrolabio, che i libri di Avicenna siano stati alla base degli studi delle università di Padova e Bologna. Non si può vivere di nostalgia del passato glorioso, ma bisogna partecipare al progresso umano. Ci vorrebbe uno scatto di rinnovamento del pensiero e della prassi, per misurarsi con la modernità. Non si può usare i telefonini, guardare la tv e usare Internet e rimanere allo stesso tempo legati ad interpretazioni letterali di un testo di 1400 anni fa, nascondendosi dietro il concetto tautologico che “la parola di Dio non si cambia, perché Dio è il più sapiente”.
Il legame che coniuga la Cultura alla sfera religiosa è la questione del potere politico. Per governare bisogna avere una commistione tra la forza e il consenso e questo secondo strumento si avvale spesso della religiosità popolare come elemento egemonico. Il paravento divino diventa, alle volte, uno strumento di manipolazione da parte del potere per ingannare la gente comune. Da questo discende che il risveglio culturale del mondo arabo-islamico passa da un rinnovamento dell’interpretazione coranica al passo con i tempi.
Nei recenti attentati islamisti si sente spesso l’invocazione “Allah Akbar”: qual è (se c’è) il legame tra il Corano e lo Jihadismo?
“Allahu Akbar” è un’invocazione per la chiamata alla preghiera e non un grido di guerra. I vili terroristi assassini, imbottiti di droga, si schermiscono dietro uno slogan improprio per darsi una caratterizzazione di pura propaganda. Gente ignorante, emarginata socialmente, che fino a pochi mesi prima del loro folle suicidio, si ubriacavano nei bar dell’Occidente che odiavano per l’incapacità di integrarsi, non può insegnare la fede a nessuno. Nel libro approfondisco il tema della violenza nel Corano con molte citazioni e fornendo le diverse interpretazioni. Le sure del Corano incitanti a combattere i miscredenti, lo condizionavano alla difesa se attaccati. Sure che descrivevano situazioni specifiche di 14 secoli fa avvenute nella penisola arabica, dove la piccola nascente comunità musulmana fronteggiava i miscredenti delle tribù meccane; queste avevano maltrattato e perseguita il profeta e i suoi pochi seguaci della prima fase, costringendoli alla fuga verso Medina. Estendere quei testi letteralmente all’ambito attuale è una pura ignoranza dell’essenza del messaggio del profeta Muhammad, che centinaia di sure tolleranti esprimono. E’ una scelta selettiva che fa gioco a chi vuole sguazzare nel torbido. I fautori dello “scontro di civiltà” si autoalimentano a vicenda.