“LibriLiberi”. Atti umani. Il coro polifonico dei vivi e dei morti nella Corea del Sud del 1980
Con il suo precedente romanzo, La vegetariana, Han Kang ha ottenuto molto successo, ora l’autrice sudocoreana torna con il suo ultimo lavoro, sempre per Adelphi, intitolato Atti umani.
Nata a Gwangju nel 1970, torna in quel luogo dopo essersi trasferita con la sua famiglia a Seul pochi mesi prima del massacro avvenuto nella città natale, nel 1980, e lo racconta con una storia polifonica, attraverso le voci delle vittime e dei superstiti, soprattutto ragazze e ragazzi, quei giovani che hanno creduto nella lotta contro il dittatore Chun Doo-hwan, perchè gli anni’80 non sono poi così lontani…
I capitoli sono scanditi dalle date, in maniera cronologia, dall’inizio della rivolta fino al 2013 e danno voce, di volta in volta, ad alcuni protagonisti: il quindicenne Dong-ho, la redattrice Eun-sook, l’operaia Seong-hee e poi i loro familiari, i colleghi, gli amici attivisti, ognuno con il proprio carico di ricordi e di sofferenza laceranti.
Han Kang non vuole che l’oblio copra la Storia e così restituisce al lettore tutta la crudezza di un periodo, breve, ma terribile in cui, oltre alla legge marziale, nel suo Paese vigeva la repressione assoluta e violenta di ogni tipo di dissidenza. Una giornalista che riceve sette schiaffi dal proprio capo, l’operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese, ma in particolare l’autrice non lesina la descrizione delle torture inflitte ai prigionieri. Ogni situazione viene raccontata da punti di vista differenti, narrata in prima, seconda o terza persona e il lettore è chiamato a identificarsi con il personaggio a volte da molto vicino a volte da più lontano, ma sempre con grande partecipazione.
L’opposizione democratica contro la dittatura di Chun Doo-hwan, instaurata dopo l’assassinio del presidente Park Chung-hee era composta per di più dagli studenti dell’Università Nazionale di Chonnam, ma anche da ragazzini più piccoli, ancora alunni delle scuole medie a cui furono messe in mano le armi. Sotto Chun Doo-hwan, questi eventi vennero presentati alla popolazione come una rivolta comunista; una volta instaurato un regime democratico (che suona sempre come un ossimoro), il massacro venne in seguito riconosciuto come una violenta repressione di un movimento che mirava a difendere le libertà individuali dei coreani. Il prezzo pagato è stato altissimo e in Occidente poco se ne parla.
Il massacro di Gwangju diventa oggi più che mai di attualità, se pensiamo alle minacce continue tra USA e Corea del Nord, ai regimi debellati sulla pelle dei civili in Medioriente e a quelli ancora in atto in altre aree del mondo. Il massacro di Gwangju diventa anche universale per i temi trattati: la banalità del Male (“…Solleva lo sguardo e contempla la fotografia del presidente appesa alla parete intonacata. Com’è possibile, si chiede, che una faccia possa nascondere così bene ciò che si cela dietro di essa? Che non sia indelebilmente segnata da tanta crudeltà, brutalità, gusto omicida?”); l’etica slegata dalla moralità; il senso di colpa dei sopravvissuti (“Perchè lui è morto? Perchè io sono vivo?…Sì, la coscienza, la cosa più terrificante al mondo”); l’orrore della tortura (“Invece di brutali percosse, i nostri carcerieri iniziarono ad adottare metodi più elaborati per infliggerci il dolore, metodi che non fossero troppo gravosi per loro dal punto di vista fisico. Come la ‘tortura della forcina’, in cui ti legavano le braccia dietro la schiena e ti infilavano un grosso pezzo di legno tra i polsi e le reni”.)
Ma, oltre al Male, la scrittura di Han Kang cerca di far emergere anche il Bene, la possibilità del Perdono, il recupero di un’umanità ormai sepolta sotto la sete di potere , potere politico, economico o “semplicemente” quello primitivo di un essere umano su un altro. Fa parlare le anime di chi non c’è più, la scrittrice. Le fa sussurrare per ricordare a tutti il significato del loro sacrificio, quel significato sublime, che trascende la vita stessa, che amplia il respiro e lo fa diventare spirituale, quel respiro che deve tornare ad alimentare i valori e gli ideali positivi, per chi verrà dopo di noi.