Genziana project: storie di resilienza dopo il terremoto
Alessio Pagani e Francesco Fiorello hanno dato vita a GENZIANA PROJECT: i due giovani fotografi raccolgono le testimonianze di coloro che non hanno voluto lasciare le proprie case, i propri campi, la propria vita dopo il terribile sisma che ha colpito Marche e Abruzzo, Lazio e Umbria.
Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande ad Alessio Pagani e lo ringrazia per la disponibilità.
Quando avete realizzato il progetto e qual è la situazione che avete trovato?
Il progetto è iniziato nelle ore immediatamente successive alla scossa del 24 agosto del 2016. Siamo fotografi professioni e abbiamo iniziato a seguire la vicenda perché è il nostro lavoro. Con il tempo, fotografare e raccontare il terremoto nel centro Italia e le persone che ne sono state coinvolte si è trasformato in un progetto fotografico a lungo termine. Che è ancora in corso. Perché è doveroso, secondo noi, toccare con mano e poi mostrare il fallimento governativo della gestione di questa emergenza. E c’è un dato su tutti a sancirlo. Oggi, a oltre sedici mesi dal sima, le casette d’emergenza consegnate sono 1.871, a fronte delle 3666 necessarie. Siamo fermi a poco più della metà e molte di quelle ultimate hanno problemi che le rendono invivibili. Qualcosa di inaccettabile. Al pari delle macerie non rimosse, con intere frazioni sostanzialmente ferme alla situazione immediatamente successiva alle prime scosse. Non crediamo di sbagliare se diciamo che l’unica cosa che ha funzionato in questa non ricostruzione è stata la generosità degli italiani e di quelle associazioni, fondazioni e aziende che ci hanno messo del loro per realizzare opere e progetti.
Perché i cittadini hanno deciso di rimanere nei luoghi colpiti dal terremoto?
Non esiste una sola risposta a questa domanda. Son tante persone hanno deciso di restare nei loro paesi martoriati dal sisma e le motivazioni sono molteplici. La prima, e pensiamo agli allevatori e agli agricoltori, è legata all’assenza di alternative. Era impossibile chiedere loro di lasciare, anzi abbandonare, i loro animali e i loro campi. L’Appennino è un territorio duro e questi uomini e queste donne è come se avessero stretto un patto con la natura, con le loro pecore, capre, mucche e maiali e con le loro coltivazioni. Ci saremo, ci saremo sempre e non vi abbandoneremo gli hanno promesso. E così continuano a fare. Non ci hanno pensato un solo secondo: era giusto restare. Come ci hanno pensato poco, arrivando alla stessa conclusione, tutti quelli che pur potendo andare altrove hanno optato per una roulotte o un camper in mezzo alle macerie. Per amore della loro terra. Perché tra chi ha scelto di rimanere al proprio posto e la sua terra c’è un legame inscindibile, difficile da comprendere, ma chiaramente visibile. È qualcosa di concreto, sanguigno e indissolubile.
Ci raccontate un paio delle storie che avete raccolto?
È difficile scegliere. Anche perché i casi di “resistenza”, al di là dello storytelling governativo del “tutto è a posto”, sono tantissimi. Ci sono Ambra e Stefano a Visso, con la loro attività di frutta e verdura che dall’emergenza si è trasferita sul camion. C’è Patrizia a Ussita che aspetta ancora la sua Sae e vive in camper. C’è Daniele a Castelluccio che lotta per raggiungere il suo paese isolato, come Emiliano, Gilberto e i loro cavalli, scesi da poco a Norcia e pronti a risalire. Ci sono le “ragazze con il megafono” di Accumoli, Illica e Grisciano che denunciano quello che non va, mettendoci la faccia. Ci sono Fabio e Francesco, di Capodacqua e Acquasanta Terme. Che lottano per se stessi e per gli altri. Perché nessuno rimanga indietro. Il centro Italia terremotato è la prova che “Non è tanto chi sei, quanto quello che fai, che ti qualifica”.
La loro terribile esperienza e il loro coraggio nella resistenza cosa ci devono insegnare?
Non possiamo rispondere a questa domanda se non a livello personale. Non siamo in grado di dire cosa il coraggio e la resistenza di queste persone possano insegnare agli altri. Possiamo dire cosa hanno insegnato a noi. Ci hanno insegnato il significato vero e profondo di una serie di verbi di cui spesso si abusa: amare, aiutare, soffrire, sopportare e resistere. Perché il nostro lavoro sul centro Italia ferito dal terremoto ha senso solo grazie alle persone che abbiamo incontrato. Tutte quelle che ci hanno permesso di essere con loro anche nei momenti in cui le macchine fotografiche potevano dare fastidio. Quelle che accompagnato nei loro ricordi, anche quando faceva male. Che ci hanno, di fatto, adottato. E quelle che continueremo a seguire finché non tornano a casa.
Vi ringrazio per quello che avete scritto e vorrei chiedere scusa a tutte quelle persone che, abbandonate da chi poteva e non lha fatto , restano in piedi nonostante tutto.Le scusa per essere solo testimone consapevole di una situazione che di umano non ha,niente.