“VenerdIslam”. Femminismo musulmano, perché no?
di Monica Macchi
Questo è il titolo, con prefazione di Alain Gresh ex capo redattore di Le Monde Diplomatique, del libro della sociologa Malika Hamidi, rielaborazione della sua tesi in dottorato all’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS).
Malika Hamidi vuole dimostrare che il femminismo esiste non solo come movimento di pensiero, ma anche come mezzo di azione sul terreno politico e sociale facendo riferimento sia all’ermeneutica dei testi religiosi che alle più recenti riflessioni femministe in particolare nel mondo francofono (Francia, Belgio e Canada).
E’ dal 2004, anno della famosa legge sul velo in Francia, che donne musulmane e figure storiche del femminismo francese, come Christine Delphy, Catherine Samary, Monique Crinon stanno collaborando nel Collettivo femminista per l’uguaglianza (CFPE), allo scopo di teorizzare formalmente i diversi tipi di oppressioni, per imparare a riconoscerle e superarle. Il punto di partenza è stato proprio quello di contestualizzare le lotte femministe musulmane: la lotta femminista delle musulmane in Europa non è come quella in Marocco, ed è diversa da quella nell’Africa sub sahariana. Così ad esempio le prime hanno puntato il dito sul dilagare dell’islamofobia e su un modello “liberatrice” e “civilizzatrice”, le seconde sull’urgenza della riforma del codice di famiglia, le terze sulla lotta contro povertà e analfabetismo in una logica di etica intersezionale.
Le esperienze di questo Collettivo mobilita così non solo concetti femministi e testi religiosi, ma attinge anche alla filosofia dei diritti umani per decostruire i pregiudizi e creare un’inedita sorellanza.