Mediazione interculturale e accoglienza dei profughi: oltre la prima accoglienza
Di Lahcen Aalla.
Il tema della migrazione é molto complesso e implica settori diversi e molteplici attori. Una seria riflessione su questo tema impone di pensare alla fase prima della partenza, quella durante il tragitto, quella dell’arrivo in Europa e anche la fase di ritorno o di proseguimento del cammino verso un’altra destinazione. Anche il lavoro del Mediatore Interculturale varia secondo la fase in cui viene a intervenire. Pubblichiamo qui una riflessione di Lahcen AALLA (Mediatore e formatore in Mediazione Interculturale). Il dossier è pubblicato, per intero, su www.mediatoreculturale.it
Pur con livelli diversi tra le regioni, l’Italia, ha maturato una significativa esperienza di gestione della migrazione e di costruzione di sistemi di accoglienza dei profughi. Alcuni servizi pubblici e del privato sociale, sono diventati dei veri dispositivi di mediazione interculturale operativi con personale multietnico e multidisciplinare che assistono direttamente i migranti e i rifugiati e che offrono consulenza ad altri Enti.
L’esperienza di sostegno psicologico, ai rifugiati vittime della tortura, dimostra che certe persone portano con sé sofferenze maturate durante il primo impatto con l’Italia a causa dei problemi comunicativi, degli incomprensioni o dei conflitti legati all’impossibilità di comunicare.
Hotspot e prima accoglienza
Il sistema di accoglienza dei profughi in Italia è diviso in diverse fasi, di cui possiamo citare:
– La prima fase è quella detta “del Hotspot”, nei CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza). Fase nella quale si effettua il foto-segnalamento e lo screening sanitario;
– In secondo luogo viene l’accoglienza di emergenza nei Centri di accoglienza (CDA) o Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), al fine dell’espletamento della domanda di protezione internazionale.
– E poi viene la fase di protezione e integrazione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), gestito attraverso gli enti locali con l’essenziale supporto e ausilio del terzo settore, che offre soprattutto servizi per l’accoglienza e l’integrazione dei soggetti beneficiari.
L’opera interpretariato nella prima fase è molto delicata e complessa, perché si attiva in un contesto di emergenza e di “controllo”. Dopo il breve passaggio al CPSA, il trasferimento ad un CARA; CDA o CIE determina già il passo seguente sarà di accoglienza o di rimpatrio.
Alcuni rifugiati che hanno vissuto l’esperienza di rimpatrio attribuiscono spesso la causa all’interprete che non avrebbe tradotto bene secondo loro o non avrebbe usato “il suo privilegio” di essere ascoltato dagli ufficiali per favorire il richiedente asilo. La stessa origine etnica dell’interprete potrebbe essere vissuta come fattore di beneficio o di sfavore.
Il continuo cambio della provenienza dei rifugiati pone anche un problema di reperimento di personale qualificato in grado di comunicare nella lingua o nel dialetto degli utenti. Inoltre, il lavoro di interpretariato con operatori che hanno mansioni di controllo, lascia poco spazio alla mediazione interculturale. Ma questo non vuol dire che quest’ultima sia inutile i quei contesti, ma significa che bisogna rafforzare la qualifica di questa figura con particolare attenzione alle competenze relazionale e alla gestione dei rapporti interpersonali nei contesti di emergenza. Da un’altra parte occorre razionalizzare e autonomizzare il coordinamento di queste figure professionali operanti in questi contesti.
Nel Sistema di protezione e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), sono già previsti dei mediatori interculturali, ma l’assenza di un albo professionale e di un profilo formativo e professionale nazionale, permettono di aggirare la legge e di introdurre sotto questo profilo persone che riescono a provare la conoscenza di una o due lingue straniere, spesso quelle insegnate nel sistema scolastico italiano come il francese, lo spagnolo e l’inglese, anche con livelli di conoscenza scritta e parlata basici o elementari. Il mediatore interculturale nel sistema di accoglienza è chiamato a facilitare la comunicazione, mediare i conflitti e informare sui contesti sociali e culturali del contesto di arrivo dell’utente e decodificare linguaggi, chiarificare contesti e situazioni a suo favore.
Ma oltre a queste mansioni che si svolgono generalmente in situazioni di colloquio, il mediatore interculturale è chiamato a operare nella gestione della vita quotidiana del gruppo e degli individui. Questo gli impone di aggiungere alle sue competenze di comunicazione e di relazione anche competenze di lavoro in un equipe educativa.
Mediare “tra una cultura minoritaria e una dominante”
La psicologa Margalit COHEN-EMERIQUE considera che la mediazione interculturale permette di far comunicare culture minoritarie con una cultura dominante al fine di favorire un dialogo equo. Quando, in Italia, un servizio, impone ad un utente “un mediatore interculturale” italiano che parlerebbe la sua stessa lingua o una lingua veicolo, gli si impongono delle interpretazioni fatte dallo stesso servizio o sistema e gli si nega la sua alterità.
La condivisione dello status di immigrato (anche se non più attuale nel caso di acquisizione della cittadinanza italiana), della stessa origine straniera, sono già dei fattori che permettono all’utente di sentirsi rappresentato nel servizio e di potersi esprimere senza bisogno di mimetizzarsi o di non comunicare tutto di sé. La mediazione è una negoziazione che si attiva attorno alla lingua e alla cultura e interroga delle identità.
Il progetto di vita e di immigrazione nella sua coerenza o mancata coerenza, esercita un’importante influenza sul percorso migratorio e anche sulla vita dei figli nati o cresciuti durante il soggiorno in un paese terzo. Ma anche uno strumento normativo come il “trattato di Dublino”, potrebbe determinare lo stato di blocco o di essere “da nessuna parte”: essere sospeso nel nulla.
Spesso, non è solamente il desiderio di andare in un paese, dove si pensa di stare meglio, che determina la difficoltà di obbedire alle regole della comunità Europea e di fermarsi nel paese che si considera di transito, ma ci sono sempre legami famigliari da connettere e altri fattori storici da prendere in considerazione. Certamente, la mediazione interculturale non è l’advocacy (testimonianza a favore) e non può pretendere di togliere completamente tutte le barriere.
Vivere tra due mondi
Quando parte un/a migrante o rifugiato/a, porta con sé dei legami, degli alleati morali ed emotivi, che lo sostengono, lo aiutano, li danno la forza per sopportare le difficoltà e acquisire la forza per continuare. Deve anche imparare a gestire questi legami e adattarli al mondo che cambia attorno a lui/lei. Deve costruire degli equilibri per far convivere il proprio mondo interno che sta lontano con il modo attuale, quello esterno, che spesso rimane irraggiungibile.
Questa sua fatica più o meno grande a costruire gli equilibri tra due mondi diversi determina il suo percorso di integrazione, nel quale interagiscono tutti quegli operatori che compongono il dispositivo di mediazione interculturale.
Chi parte, lascia anche delle persone con cui aveva dei legami, famigliari e parenti, che spesso hanno avuto un ruolo nella costruzione del suo progetto di partenza o sono stati, proprio loro, ad averlo prescelto per partire e ad avere partecipato a predisporre i mezzi per l’attuazione del progetto migratorio. Le attese di queste persone e le loro interazioni con il migrante influenzano molto il suo percorso e determinano anche il suo stare bene o la sua sofferenza.
Nei casi dei minori non accompagnati è ormai radicata, nei servizi di accoglienza, la pratica di comunicare con i genitori tramite i mediatori interculturali o di effettuare delle missioni nel paese di origine degli utenti.
Questa attenzione a chi rimane, si estende anche ai parenti di coloro che hanno perso i loro cari nel tentativo di raggiungere la riva nord del Mediterraneo. Da una prima constatazione si nota che l’annegamento nel mare dei primi non frena la partenza di altri, anzi spesso determina la partenza e la stessa sorte di gruppi successivi proveniente dalla stessa zona o parenti dei primi.
Mediazione e sostegno psico-sociale
Oltre alle azioni di sostegno economico e sociale, si propongono anche azioni di sostegno di tipo psico-sociale. Ma in un contesto rurale non occidentale, la nozione di benessere psico-fisico hanno connotati diversi da quelli conosciuti in Italia e la psicologia è spesso vista come una cura legata a delle patologie e gestita dai servizi di igiene mentale e dai manicomi.
In un caso (2), in seguito ad un primo monitoraggio realizzato da personale locale, gli esperti italiani hanno scelto di co-costruire insieme alle operatrici locali e alle donne beneficiare dell’iniziativa un percorso di sostegno psico-sociale. L’introduzione del mediatore interculturale proveniente dall’Italia, ha permesso di mediare le resistenze di una concezione della psicologia troppo attaccata agli insegnamenti della psicologia europea coloniale, ancora diffusa in Marocco e a ascoltare il sapere culturale delle donne parenti delle vittime e a valorizzarlo e utilizzarlo come leva terapeutica che interviene durante il percorso di sostegno tra pari. In tale modo dei valori culturali come i rituali tradizionali, dei detti e proverbi locali, delle espressioni artistiche espresse nei tappeti e nel ricamo, hanno trovato la loro valorizzazione e una loro utilità nel percorso.
Quando si parte, ci si arricchisce con esperienze nuove. Nel caso della mediazione la ricchezza è doppia, perché l’esperienza è un continuo negoziare esistenze, identità, saperi e credenze e anche un continuo riflettere e far riflettere su significati e sensi di parole, atteggiamenti e azioni. Tutto questo con la presenza di un altro curioso e bisognoso di sapere: l’operatore “autoctono” (italiano nel nostro caso).
Quando si ritorna a “casa” per lavorare nel campo sociale e culturale, si porta con sé una conoscenza maggiore quella di chi si è allontanato dal quadro per osservarlo meglio….
Note:
(1)- Margalit COHEN-EMERIQUE, psicologa esperta in relazioni e comunicazione interculturali (vedere il suo sito qui).
(2). Un Progetto promosso da Mondo Mlal: «Tous en réseau», tutti in rete. progetto di lotta all’immigrazione irregolare e contro il trafico di esseri umani atraverso la partecipazione delle famiglie delle vittime dell’immigrazione irregolare, delle associazioni della società civile e delle istituzioni locali . dal 01/03/2007 al 31/08/2010. Programma cofinanziato dalla Comunità Europea. Typologie: Cofinancé par l’Union européenne. Programme Aeneas Ligne budgétaire: 19.02.03. Référence: EuropeAid/ /122511/C/ACT/MULTI. Regioni obiettivo: Chaouia-Ouardigha eTadla-Azilal, Province di Béni Mellal e Khouribga.
Riferimenti bibliografici
– Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell’Interno, Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi, Roma, ottobre 2015
– Servizio Centrale – SPRAR, Manuale operativo per l’attivazione e la gestione dei servizi di accoglienza integrata in favore dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e umanitaria, settembre 2015
– ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011
– Margalit COHEN-EMERIQUE, “Per un approccio interculturale nelle professioni sociali e educative” (Dagli inquadramenti teorici alle modalità operative) Erickson, 2017.