Uccisa Marielle Franco, la donna che entrava nelle favelas
di Valentina Tatti Tonni
Se negli anni Ottanta in Sud America la capitale della droga in genere è e continua ad essere il Messico, quella del narcotraffico dalla Colombia, con la caduta dei cartelli più antichi (un insieme di organizzazioni che formano un unico sistema criminale), si sposta in Brasile. Come scrive Roberto Nicolini nel libro Mafia globale a cura di Nando Dalla Chiesa: “I diversi Paesi sudamericani, sono spesso pervasi da culture di impunità difficili da sradicare, frutto delle dittature che ne hanno segnato la storia, e sono spesso costretti a contendere il monopolio della violenza ad altri attori come le guerriglie o la stessa criminalità organizzata, avvantaggiate dalla conformazione territoriale del continente (si pensi all’estensione della foresta amazzonica o delle Ande). A ciò va aggiunto che le crisi economiche, gli elevati tassi di inflazione e i sistemi di profonde disuguaglianze sono una costante che si accompagna a una generalizzata situazione di forte povertà e all’assenza di programmi di sviluppo alternativo alle coltivazioni di coca e marijuana”.
Rio De Janeiro è la seconda città del Brasile dopo San Paolo a concentrare il più elevato numero di popolazione ed attrarre investimenti in economia. La sua peculiarità sono senz’altro le favelas, le cosiddette baraccopoli brasiliane, in cui operano almeno tre gruppi criminali che operano nel traffico (Comando Vermelho, Terceiro Comando Puro e gli Amigos dos Amigos) e che sfruttano a loro favore con violenza e intimidazioni le debolezze socio-economiche delle persone che vi abitano, come in qualunque luogo alla periferia del mondo in cui lo Stato non ritiene importante l’intervento, o quando è proprio lo Stato talvolta a colludersi con i poteri criminali.
E’ in questo luogo, in questo contesto che Marielle Franco è stata uccisa. Un’esecuzione. Era appena uscita da un evento in favore dei diritti delle donne nere nelle favelas. I sicari la stavano aspettando, hanno esploso nove colpi d’arma da fuoco: quattro proiettili l’hanno colpita alla testa, uno ha colpito il suo autista e un altro ha ferito la sua addetta stampa. Gli altri sono rimasti a terra o conficcati nell’auto o nelle pareti vicine. Unico obiettivo: non mancare il bersaglio, portare a termine il lavoro, eliminare Marielle Franco. Perché? Aveva 38 anni, ed era consigliera del Partito Socialismo e Libertà di Rio de Janeiro. Più che essere “bella, nera e lesbica” come alcuni giornali hanno scritto, presumibilmente non l’hanno uccisa perché era bella, nera e lesbica, ma perché era un’attivista civile che si batteva in favore dei diritti umani, contro i narcotrafficanti e la polizia militare che da “battaglione della morte” uccide i giovani delle favelas.
E’ stato dichiarato che le indagini sul duplice omicidio verranno seguite dai vertici di Brasilia, la capitale, con la dovuta attenzione, accompagnate da tutti i messaggi di sdegno che in queste ore la stampa estera sta raccogliendo e pubblicando per mostrare un Paese affranto. Una democrazia ancora una volta piegata e al quale dolore risponde la piazza, in migliaia in queste ore si sono riversati in strada in segno di protesta. Per la gente comune, per le donne povere e per i loro figli reclutati dai cartelli, Marielle Franco non era un’attivista qualunque. Era la donna che entrava nelle favelas e denunciava, portava luce e speranza, si faceva carico di tutte le cause inaccettabili che il Paese ancora si ostinava di difendere. Un riflettore puntato che gli assassini mal sopportavano.
Il giorno prima di essere uccisa, come sempre accade in queste circostanze, Marielle Franco aveva “osato” esprimersi in modo diretto contro i poteri forti del narcotraffico supportati con arroganza dalla polizia militare e su Twitter aveva scritto: ”Ancora un omicidio che potrebbe entrare nel conto di quelli compiuti dalla polizia militare. Matheus Melo stava uscendo dalla chiesa. Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?”.
Un movente, una promessa. Marielle Franco condannava la violenza, finché la violenza non le si è rivolta contro.