“LibriLiberi”. La madre di Eva
Eva non è più Eva. Eva, per i suoi diciotto anni, vuole diventare Alessandro.
Eva e sua madre si recheranno in Serbia, dove l’illustre Dott. Radovic eseguirà l’intervento sul corpo di Eva. Eva, il nome della prima Donna…
Neo. Edizioni ha di recente pubblicato un romanzo potente, disturbante per la penna di Silvia Ferreri – giornalista oltre che scrittrice e qui alla sua prima opera letteraria – una scrittura che non teme di scendere nei particolari, di scavare sotto pelle e nelle anime.
Il punto di vista è, come recita il titolo, quello di una madre che vive il senso di colpa per aver messo al mondo una creatura – la sua – che rinnega il proprio genere. Una madre che sperava in una esistenza serena accanto alla figlia e al marito, comprensivo e accudente. Una madre che vive il desiderio e la necessità della figlia di diventare uomo come se fosse una condanna, una punizione.
Non c’è un momento di respiro nel racconto: ricordi felici dell’infanzia e del Passato si trasformano in un cammino sempre più buio, in cui le relazioni familiari si sgretolano, i rapporti sociali si inquinano, in cui sopraggiungono vergogna, rabbia, paura. “Mi chiamò la preside perun colloquio urgente. Mi ritrovai seduta in un ufficio con quattro professori e una rappresentante dei genitori e mi sentii sporca. Non andarono per il sottile, mi dissero che per quanto si rendevano conto della problematica, il tuo comportamento non poteva essere accettato. Avrebbe creato disordine all’interno dell’istituto”. La madre di Eva, archetipica, pur non accettando la situazione a cui deve far fronte, decide di proteggere la/il figlia/glio come una fiera con i suoi cuccioli e di accompagnarla nel suo viaggio verso la nuova identità.
Il romanzo della Ferreri non affronta solo il tema della questione di genere, ma in meno di 200 pagine, fà riflettere su molto altro: sul rapporto madri/figlie, sempre complesso, su una famiglia matriarcale inserita in una società maschilista. Parla dell’ingenuità o della cattiveria dei bambini (“All’asilo ti inventasti di avere un gemello maschio. Così potevi essere tutto senza che nessuno ti chiedesse spiegazioni…”), parla di tradimento e protezione; parla di un’altra donna Maddalena, la psicoterapeuta, che dà un nome all’esigenza profonda di Eva/Alessandro “disforia di genere”, ma che non classifica le persone come casi clinici, anzi le sorregge e le guida fino a che da crisalide non si trasformano in farfalle.
E c’è anche un padre, quello che una sera si reca sulla Salaria a parlare con un ragazzo trans e che torna dicendo che “gli aveva fatto schifo”, che piange, che vomita, ma che poi riesce a superare i propri pregiudizi e ad amare ancora di più il sangue del proprio sangue.
Al centro della narrazione c’è poi il corpo e su quel corpo una via crucis, un tormento, un martirio. La madre immagina ogni taglio, ogni ferita, ogni colpo inferto alle membra e agli organi della figlia e avverte su di sé il dolore e la sofferenza, come Maria con Gesù, ma è faticoso, per lei, credere in una Risurrezione. Ma la madre, dietro alla porta della sala operatoria, dirà: “Se anche Dio ti avesse abbandonato, io non lo avrei fatto”. Perchè si cresce insieme e per crescere, a volte, bisogna abbandonare una parte di sé.