Trattativa Stato-mafia: in nome del Popolo Italiano, la Corte condanna
di Valentina Tatti Tonni
5 anni di processo e 220 udienze. Infine venerdì 20 aprile 2018 la Corte d’Assise di Palermo sezione seconda presieduta da Alfredo Montalto, ha emesso la sentenza riguardo la Trattativa Stato-mafia.
Commozione e applausi durante la lettura. Condannati i boss Leoluca Bagarella a 28 anni e Antonino Cinà a 12 anni, gli ex alti ufficiali del Ros Giuseppe De Donno (8 anni), Mario Mori (12 anni) e Antonio Subranni (12 anni), l’ex senatore Forza Italia Marcello Dell’Utri (12 anni) e il testimone imprenditore Massimo Ciancimino, figlio di Vito, (8 anni). Assolto l’ex ministro Nicola Mancino perché il fatto non sussiste. Prescrizione per il pentito Giovanni Brusca e naturalmente archiviazione per Totò Riina causa decesso. Stabilito dai giudici un risarcimento di tutti gli imputati in solido tra loro di 10 milioni di euro per danni nei confronti della presidenza del consiglio, il risarcimento in favore delle altri parti civili (Presidenza Regione Siciliana, Comune di Palermo, Centro Studi Iniziative Culturali Pio La Torre, Libera) e per l’associazione per le vittime della strage di via dei Georgofili; Massimo Ciancimino condannato anche al risarcimento in favore di Giovanni De Gennaro; inoltre tutti condannati al risarcimento in favore delle parti civili delle spese processuali.
Oggettivamente disattese le richieste di dare pene pesanti agli imputati, fatte durante la requisitoria, ci si augura non vengano ribaltate in appello; le motivazioni della sentenza arriveranno fra 90 giorni.
Ora finalmente c’è la prova scritta e indelebile di uno Stato piegato alle richieste di Cosa nostra per far tacere le stragi. Mentre Falcone e Borsellino saltavano in aria, boss e funzionari di Stato facevano affari tra loro negoziando: la mafia, “l’invenzione letteraria”, era diventata realtà legittimata sotto i detriti delle bombe. Come ha dichiarato il Pm Nino Di Matteo ascoltato fuori dall’aula bunker dopo la sentenza: “Che la trattativa c’era stata, veramente non c’era bisogno della sentenza di oggi per dirlo. La sentenza di oggi dice che qualcuno dello Stato ha contribuito con Bagarella, con Riina e con gli altri stragisti a trasmettere ai governi in carica le richieste di Cosa nostra, e questo è molto grave”. Un negoziato subdolo il cui cuore “è negli appalti”, come ha recentemente detto Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, a Salvo Palazzolo di Repubblica, che sia “lecito pensare che anche il depistaggio sulla morte di mio padre sia stato frutto della trattativa”.
Già lo scrittore Andrea Camilleri intervistato nel 2010 da Carlo Lucarelli parlò di come “sradicare la mentalità mafiosa che è la protezione a tutti i costi dell’amico, la protezione a tutti i costi di un beneficio raggiunto, il far raggiungere illegalmente certe posizioni a persone che non lo meritano. Tutto questo è mafioso… si è portatori sani di mafia”. Sull’avvicinamento tra Stato e mafia, Camilleri commentava: “Il vecchio mafioso prima di ricorrere all’uso delle armi, trattava. Erano abilissimi e bravi diplomatici in questo senso e trattavano con tutti. Se una trattativa c’è stata tra Stato e mafia, bisogna vedere chi si è seduto al tavolo delle trattative e quali erano le commentatizie di chi si sedeva al tavolo delle trattative”.
L’ipotesi investigativa della Trattativa si fece strada proprio per sradicare la mentalità mafiosa e per legare i fatti accaduti nel biennio 1992-93. Così come disse il giornalista Francesco La Licata, sempre nel 2010: “…dalle ultime risultanze investigative a proposito delle stragi di mafia, consegna all’opinione pubblica un quadro diverso da quello che nel corso degli anni era stato dato sui rapporti istituzionali di Cosa nostra. (…) Viene fuori semmai un’organizzazione criminale, una Cosa nostra, quasi che si sia prestata nel corso degli anni a fare da service a interessi superiori, che fossero anche politici, economici o istituzionali, una sorta di service del malaffare a cui rivolgersi per fare il cosiddetto lavoro sporco”.
Ed è stato proprio così.
A sentir parlare la prima volta di Trattativa, cioè nel momento in cui il presagio di una negoziazione ha smesso di essere un’ipotesi e si è concretizzata, è stato Giovanni Brusca (u verru), figlio del boss Bernardo, che prima di redimersi diventando pentito o collaboratore di giustizia era stato condannato a più di cento omicidi, compreso quello del piccolo Giuseppe Di Matteo ed esecutore materiale della strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Nel 1996, stesso anno dell’arresto, cominciò a parlare: aveva sentito parlare della Trattativa tra Riina e alcuni funzionari di Stato durante gli omicidi di Falcone e Borsellino.
Secondo la ricostruzione della Procura, a cui la Corte ha infine dato ragione, ci sarebbe stata una prima trattativa nel 1992 tra i carabinieri del Ros, Mori e De Donno, e l’ex Sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino (per tutti don Vito) che avrebbe consegnato loro le richieste di Totò u curtu (Riina) per fermare le stragi. Dopo l’arresto di Riina nel 1993 ci sarebbe stata una seconda Trattativa, questa volta tra Bernardo Provenzano e Marcello Dell’Utri: urgevano favori che Berlusconi avrebbe accolto, mentre esplodevano le bombe tra Roma, Firenze e Milano.
Così, nel 2009 le procure di Caltanissetta e Palermo hanno iniziato le indagini per istruire il processo, la cui prima udienza si è svolta il 29 ottobre 2012 grazie al lavoro dei pubblici ministeri Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene. Al termine del dibattimento avvenuto nel 2017, in dicembre è iniziata la requisitoria cioè le richieste in atto d’accusa presentate alla Corte dai pubblici ministeri Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Francesco Tartaglia.
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