Kabul, doppio attentato contro i giornalisti: dedicata a loro la giornata internazionale per la libertà di stampa (il 3 maggio)
di Valentina Tatti Tonni
Bombe russe, talebane, americane. Diciassette anni di guerra. A Kabul si respira aria di morte, eppure si continua a sparare, colpi di mortaio contro caserme che cadono a pezzi e si sgretolano su sé stesse, grondano calce, agli spigoli dei vetri in terra brandelli di vestiti bruciati. Immagini simili si ripetono da quando tutto è iniziato, dal primo colpo avvenuto nel 2001: i talebani lasciarono la capitale afghana quando gli americani insieme alla Nato entrarono bombardando il Paese.
La notizia del duplice attentato avvenuto lunedì 30 aprile ha fatto il giro del mondo in poche ore. A rivendicare gli attentati è lo Stato Islamico che da sempre ha cercato di uccidere i giornalisti provenienti dalla stampa occidentale. Dopo l’attentato in Francia alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo nel 2015, i giornalisti sono stati messi nel mirino. Questa volta a farne le spese sono stati 9 giornalisti afghani: Shah Marai di Afp, Yar MohammadTokhi cameraman di ToloNews, Ghazi Rasooli e Ali Rajabi di 1Tv Nowroz, Saleem Talash e Ali Saleemi di Mashal Tv, Abdullah Hananzai, Mahram Durani e Sabawoon Kakar di Azadi Radio. In un attacco separato è rimasto ucciso anche Ahmad Shahda un anno alla Bbc. Secondo Rsf (Reporter sans frotières) l’Afghanistan nell’anno corrente si troverebbe al 118° posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa.
Un doppio attentato, una trappola costruita ad hoc dall’Isis contro di loro: reporter, fotografi, operatori. Una strage, un messaggio, una strategia volta alla repressione e alla propaganda. Sembra che un kamikaze travestito da giornalista si sia avvicinato al loro gruppo facendosi esplodere. Il bilancio negativo delle vittime si è allargato fino a 37 morti.
Ma non vorremmo che la notizia sia di rilevanza pubblica “solo” perché sono stati uccisi nove colleghi nello svolgimento del loro lavoro, vorremmo far passare la notizia che nel duplice attentato sono morti ventotto civili e più nel dettaglio 37 persone, non effetti collaterali. Uomini e donne, padri e madri, fratelli e sorelle. Vorremmo porre l’accento sulla situazione in Afghanistan, su come l’Isis stia distruggendo il Paese e su come stia rubando la speranza a quei pochi figli rimasti ancora vivi.
Sarebbe quanto meno auspicabile che quest’anno, oltre a dedicare la giornata internazionale per la libertà di stampa (3 maggio) ai giornalisti afghani uccisi, venga predisposta un’azione di contrasto al crimine adeguata, concreta e soprattutto partecipata. Dall’inizio della guerra sono morte migliaia di persone avvolte oggi da una coltre di silenzio: non basta una dedica per rendergli giustizia.