Mentre Assad combatte contro tutti, la Siria non trova pace
di Valentina Tatti Tonni
All’indomani dell’attacco missilistico da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia contro le basi chimiche siriane, analisti e politologi si sono affrettati a rilasciare interviste e dichiarazioni su ciò che era successo e su ciò che probabilmente sarebbe accaduto in futuro. Mentre auspicano alla pace, viene predetta, spaventosa, una terza guerra mondiale. Nella notte del 14 aprile l’operazione militare di quei tre alleati, che non è stata approvata dalle Nazioni Unite, mirava a colpire gli arsenali di Bashar al-Assad che due giorni prima aveva lanciato un’offensiva contro i ribelli nella città di Duma intossicando con armi chimiche più di 500 persone.
Una guerra siriana che non è più solo civile ma che sta coinvolgendo molte nazioni esterne e altrettanti interessi. La guerra siriana inizialmente era nata come un’opposizione di cittadini contro il governo, qualcosa che si vede accadere in tutti i Paesi ma che qui, a causa del fragile equilibrio socio-geo-politico si è trasformato in ben altro. Seguendo l’onda tunisina della primavera araba, nel marzo del 2011 Damasco e Aleppo si ribellano al regime.
Prestato al disappunto internazionale, anche dopo la strage dei bambini uccisi nei bombardamenti, Israele (nonostante l’impegno con Gaza) ne ha approfittato per colpire le truppe iraniane presenti in Siria, dopo che queste in febbraio erano a loro volta penetrate nello spazio aereo di Netanyahu.
L’Iran infatti, insieme alla Russia, ad alcune milizie sciite e ad Hezbollah fanno parte delle forze alleate al regime di Assad, quelle che fin da subito si sono schierate al suo fianco per combattere alleati occidentali, Israele e i ribelli. Aleppo in dicembre è stata appunto riconquistata totalmente.
La Repubblica Araba siriana è attraversata poi da altri conflitti nati prima, come quello che iniziarono gli Stati Uniti nel 2014 contro lo Stato Islamico (Isis). Obama all’epoca aveva ad appoggiare il suo esercito i curdi, riuniti in una coalizione di forze siriane. Sembrava facile, come si vide con la battaglia di Kobane: la città fu devastata dall’Isis ma alla fine i miliziani curdi riuscirono a riconquistarla. Spinti dalla vittoria a Kobane, si sono spostati a Raqqa e sono riusciti a liberarla anche se è ormai una città fantasma e il pericolo per i civili rimane alto a causa delle granate inesplose.
Altro protagonista nelle guerriglie in Siria, è la Turchia. Nel 2011 Erdogan aveva appoggiato i ribelli sunniti contro le forze del regime siriano. Schieratosi con i sunniti voleva colpire il maggior alleato dell’Iran, la “mezzaluna sciita” di cui faceva parte l’Iraq. Quando nel 2015 è entrato in gioco anche Putin, la reazione turca non si è fatta attendere abbattendo un caccia russo. Avendo però compreso che Assad non si sarebbe arresto, Erdogan ha fatto un passo indietro e si è alleato con Putin e con Teheran per contenere i curdi. L’unica coerenza strategica del suo piano è trovare ripugnante l’intesa con gli Stati Uniti, ma in questo non è solo.
I curdi sono la quarta etnia più grande del Medio Oriente e la loro presenza si vede in Siria, Turchia, Iran, Armenia e Iran, nonostante il suo esercito YPG, Unità di Protezione Popolare, in Siria voglia abbattere l’Isis (hanno iniziato a difendersi nel 2013), non sono visti di buon occhio da alcune potenze tra cui la Turchia per via dei curdi emigrati che hanno formato un gruppo politico, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) considerato da Erdogan un gruppo terroristico.
Lo Stato Islamico (Isis) era una costola di Al Qaeda che nel 2000 in Iraq si staccò creando un’entità a sé stante guidata da Abu Musab al Zarqawi. Hanno poi aspettato il momento propizio per entrare in scena, approfittando della guerra in Siria nel 2014 si sono spostati da Mosul. Il disprezzo condiviso per gli antichi imperi coloniali e per l’Occidente in genere hanno fanno iniziare una escalation di attentati anche in Europa: Germania, Francia, Belgio, Spagna, Inghilterra.
A perdere queste sanguinose guerre sembrerebbero proprio i ribelli, anche se l’appoggio dell’Arabia Saudita potrebbe forse modificare gli esiti. Intanto Trump sembrerebbe dell’idea di formare un gruppo coeso di forze armate provenienti da Emirati, Qatar, Egitto e Arabia Saudita (che si è già detta disponibile), in modo che prendano il suo posto.
Mentre dalla Gran Bretagna, subito dopo il raid notturno, la May si è affrettata a precisare che il loro intervento voleva soltanto fermare gli attacchi chimici e non mettere bocca nel regime, Assad il 20 aprile ha restituito alla Francia la Legion D’Onore che l’allora Presidente francese Chirac aveva consegnato nel 2001. Nella motivazione si legge: “Il presidente Assad non è onorato di portare un’onorificenza di un regime servo degli Stati Uniti che sostiene le organizzazioni terroristiche in Siria”. Dieci giorni dopo alcuni missili hanno colpito basi dell’esercito siriano che ospitavano militari iraniani, ad Aleppo e Hama. Segno questo di indelebile riluttanza verso una qualunque pacificazione, ma non sono d’accordo i cittadini, un gruppo coeso profugo in Libano, che il 3 maggio scorso hanno presentato al Parlamento Europeo una proposta di pace e presentata a Bruxelles dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, dove si richiede che la gente possa rientrare in Siria protetta dalla comunità internazionale in zone umanitarie e non campi fatiscenti dove manca sanità e istruzione.
Intanto, i periti dell’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) il 4 maggio scorso hanno terminato la loro missione di accertamento a Douma sul presunto attacco chimico da parte di Damasco il 7 aprile scorso. Arrivati in Siria due settimane dopo il presunto attacco, hanno riferito che i campioni di analisi rilevati non siano sufficienti per la verifica e che in extremis sarebbe necessario riesumare i corpi di alcune delle vittime.