“Scritture al sociale”: Sana Cheema. “L’ho uccisa io”
di Patrzia Angelozzi
Ha confessato il padre di Sana Cheema, la ragazza italo-pakistana residente a Brescia. Lo ha fatto solo dopo l’arrivo dei risultati dell’autopsia. Fino a quel momento aveva affermato, insieme alla complicità di qualche parente-conoscente, chela figlia, sua figlia, era deceduta per morte naturale.
Invece no, la ragazza è stata uccisa da lui, con l’aiuto di qualcuno, per strangolamento. Con una modalità così efferata da causarle la rottura dell’osso del collo.
Doveva sposare un uomo che aveva scelto lui. SUO PADRE. Un uomo pakistano in un matrimonio combinato. Anche il resto della famiglia era d’accordo…? O forse semplicemente non poteva intervenire? Sua madre, avrebbe potuto avere un ruolo in questa decisione imposta e dire la sua? Non credo.
Era arrivata in Italia insieme alla sua famiglia all’età di 10 anni. Aveva frequentato le scuole, imparato la lingua del Paese ospitante e cresciuta in un contesto accogliente, faceva parte di un mondo lavorativo e sociale dove si sentiva inclusa.
Non è bastato spostarsi, crescere, studiare. O forse solo lei aveva assimilato il senso dell’ evolversi e diventare donna libera di pensare e scegliere.
Non accade solo in Pakistan, abbiamo numeri, casi e vite anche nel nostro Bel Paese che di bello, attualmente, conserva ben poco rispetto ai diritti. Soprattutto quelli riservati alle donne.
Abbiamo mondi femminili dove è lontana la libertà di pensiero, di azione. Esprimersi e scegliere diventa arduo e coraggioso. Tocca rischiare la vita o obbedire alla follia.
Confessano tutti o la maggior parte di loro, sono quelli che non cercano il suicidio nell’immediatezza dei loro crimini.
Padroni con le mogli, Padroni con le figlie, le fidanzate, le compagne, le amanti. Padroni delle vite di queste donne.
Crescere negli anni un figlio, indipendentemente dal fatto che sia maschio o femmina e non riuscire a comprendere il concetto di rispetto verso l’individuo equivale a un delitto. Al quale si aggiunge troppo spesso la violenza, la morte.
Sana Cheema, sarà un altro simbolo. Rappresenterà la visione malata che appartiene ad altri mondi e anche al nostro. Aveva studiato e non bastava. Lavorava e non bastava. Gestiva un’agenzia di pratiche automobilistiche ed era autonoma. Non bastava.
Doveva sposare un uomo scelto da suo padre.
Queste sono storie che devono essere raccontate nelle scuole, approfondite in un parallelo storia-contemporanea e Leggi. Evoluzione e diritti, affinché nascano dibattiti volti a sostenere le coscienze.
Sana Cheena aveva solo 25 anni e una vita davanti.