“Stay human. Africa”. La missione di Suor Enza in Nigeria
di Veronica Tedeschi
Una donna di fede, forte e determinata.
Questa è suor Enza, che ha abbandonato la civiltà occidentale per trasferirsi in un’isola sperduta tra le acque del Niger.
Attratta dai sorrisi dei bambini e animata dalle ingiustizie della povertà nella quale è costretta la popolazione di Igbedor (isola della Nigeria), sister Enza decide di lasciare il convento nel quale vive per trasferirsi là, lontano da tutti, in un lembo di terra africana in cui nessun volontario bianco è mai sbarcato.
Dal suo profilo Facebook tiene aggiornati amici, parenti e curiosi o esperti di Africa che, come me, sono rimasti attratti dalle sue gesta e dalla sua interpretazione di fede che finalmente vede al primo posto l’aiuto al prossimo e la condivisione.
- Inizialmente il convento in cui vivevi non crebbe in te e nella stazione missionaria che volevi aprire a Igbedor, che sensazioni hai provato? Cosa ti ha spinto a partire in ogni caso?
La situazione di vita comunitaria che vivevo in precedenza era completamente diversa da quella attuale ma, nonostante questo, ero molto contenta ed impegnata nel mio lavoro, nella mia consacrazione ed in tutto ciò che mi veniva richiesto.
Vivevo nella comunità di Onitsha dal 1996, dove ero stata inviata dalla mia congregazione come formatrice delle nuove generazioni nigeriane. L’Africa e la missione mi avevano da sempre attratta e quando i miei superiori mi chiesero di partire per la Nigeria ne fui veramente felice.
Fu solo nel 2005, quando feci una visita a Igbedor, che qualcosa cambiò in me in modo radicale, per la prima volta ebbi l’impatto con una realtà diversa da quella a cui ero abituata.
La condizione della gente, l’estrema povertà e l’abbandono di questa popolazione da parte dei governi locali e della Chiesa stessa non mi diedero più pace.
I bambini, le donne in gravidanza e gli anziani morivano per la mancanza di una banale terapia medica, non c’erano scuole, acqua potabile, ospedali nè corrente elettrica … in un’era che mira alla più sofisticata tecnologia tutto ciò mi sembrò assurdo.
Sentivo di dover fare qualcosa, anche se inizialmente non capivo e non sapevo esattamente cosa.
- Che attività svolgi con la popolazione? Cosa sei riuscita a costruire grazie anche all’aiuto delle sorelle nigeriane che vivono con te?
Insieme ad un gruppetto di giovani nigeriane che hanno deciso di spendere la loro vita al servizio di popolazioni come quelle di Igbedor, siamo riuscite a dare vita alla Emmanhel Childrenland Nursery and Primary school che oggi conta circa 400 bambini da 2 a 15 anni. Con grandissima fatica stiamo cercando di costruire una struttura in muratura che accolga i bambini e che ci permetta di formare e seguire la loro crescita mentre i genitori si trovano nei campi per lavorare.
Nella struttura scolastica è stata costruita un’infermeria di primo soccorso ed una mensa per offrire a tutti un pasto al giorno ben equilibrato. Questo punto è molto importante per noi perché malattia e malnutrizione vanno a braccetto in posti come questo.
Infine, abbiamo dato vita ad un punto mamma dove incontriamo le donne in gravidanza e le neo mamme insegnando loro ad allattare e a prendersi cura dell’igiene personale e del bambino.
- Igbedor è un fazzoletto di terra che in alcuni momenti dell’anno viene aggredito da forti alluvioni ed esondazioni del fiume Niger; come affronta la popolazione queste intemperie?
Per via del fiume Niger e dei suoi affluenti, il villaggio di Igbedor e tutti quelli limitrofi, vivono momenti di grandi difficoltà, soprattutto durante la stagione delle piogge, quando il fiume cresce di livello. Spesso se non si fa attenzione le esondazioni distruggono un anno intero di coltivazioni agricole, che sono la sopravvivenza dell’intera popolazione.
Nel 2012 l’esondazione del fiume fu un vero disastro: l’intera isola venne sommersa dall’acqua che distrusse non solo il raccolto di quell’anno ma anche tantissime case di fango e paglia che vennero completamente spazzate via.
Il governo intervenne solo con la distribuzione di alcuni sacchetti di riso che però non bastarono per sfamare tutte le famiglie del villaggio. Fu un disastro così grande che tutt’ora ci sono famiglie che non sono riuscite a ricominciare.
- Dici di non essere venuta ad Igbedor per convertire, ma per condividere, come vivi la tua fede in questo senso?
Nell’isola di Igbedor esiste una chiesa cattolica ed una anglicana anche se i cattolici in realtà sono solo il 2% della popolazione dell’isola.
Lo scopo della nostra presenza non è il proselitismo ma l’amore, non è il predicare con le parole per cercare di convincere e convertire, ma vuole essere una presenza d’amore che accompagna, ascolta, serve, si china a lavare i piedi e fasciare le ferite, capace di ascoltare e consolare cercando di far sentire le persone amate, pensate, volute ed importanti per qualcuno.
Ecco, cosi cerco di vivere la mia fede.
- Così come io mi sono emozionata parlando e leggendo di te, vorrei che facessi emozionare i nostri lettori, raccontando perché questo stile di vita ti ha arricchita e non impoverita come molti pensano.
L’amore quando è reale emoziona sempre. Quando guardiamo due giovani innamorati tenersi per mano ci emozioniamo perchè ci trasmettono con il loro gesto l’amore che fluisce e circola tra di loro.
L’amore donato è un’esperienza per me così intensa che mi spinge dall’interno quasi senza che me ne accorga. Questo è il motore della mia vita, quell’energia che mi aiuta a vivere in un contesto come questo, che mi fa superare fatiche, stanchezze e difficoltà anche quando ne sento il peso.
Quando si dona amore non ci si impoverisce mai, piuttosto ci si arricchisce, e ci si sente pienamente riempiti.
Il sorriso di un bambino, il grazie di una persona, l’essere riusciti a strappare una creatura alla morte prematura causata solo dall’egoismo di molti, è qualcosa che ripaga a piene mani i tanti possibili sacrifici.
Insieme si puo’ veramente rendere questo mondo bello e umano.
Per seguire Suor Enza o per donazioni visitate la pagina Facebook Emmanuel Family.