“Art(e)Attualità”. Ya basta Hijos de puta
di Alessandra Montesanto
La gigantografia di una transgender e un sasso macchiato di sangue; filo spinato; terra, capelli e saliva; copertine di riviste che parlano di violenza e sesso: l’Arte di Teresa Margolles è un’arte potente, è arte di denuncia.
L’artista messicana racconta la brutalità del narcotraffico nella sua mostra intitolata Ya basta Hijos de puta, ancora visitabile fino al 20 giugno presso il PAC di Milano. Attraverso fotografie, installazioni, oggetti, riprodotti, ingranditi, riposizionati, affronta i temi della violenza nella società messicana (e non solo), dell’ingiustizia, della corruzione, dell’odio di genere.
Formatasi in medicina legale, Teresa Margolles ha collaborato per dieci anni con il collettivo SEMEFO (Servicio Mèdico Forense), girando nelle strade di Città del Messico e Ciudad Juárez, tristemente nota per la guerra tra i cartelli della droga e per i femminicidi.
Curata da Diego Sileo, l’esposizione è un percorso drammatico, che toglie il respiro, ma necessario per far luce su un’area del mondo di cui si conosce ancora troppo poco, ma in grande fermento socio-politico.
“La gran America”: Dozzine di migranti da tutto il Centro America muoiono ogni giorno nelle acque del rio Grande nel tentativo di varcare il confine tra Messico e USA. Con quest’opera, la Margolles crea un memoriale a loro dedicato.
Queste lettere costituivano l’insegna di u bar a Ciudad Juárez, nell’area demolita a seguito del risanamento urbano. La scritta si riferisce anche ai diversi mondi in cui viviamo e la frontiera con gli USA. nell’installazione si sente anche il ronzio del neon che non funziona bene, un rumore che ricorda quello delle fabbriche di assemblaggio che caratterizzano la vita nella città messicana e che l’anno resa zona franca industriale del Messico, a seguito dell’accordo di libro scambio tra Messico, Canada e Stati Uniti.
“Espejos de la barra del club” . Uno specchio di un locale a luci rosse, noto per la prostituzione e il traffico di stupefacenti. Durante i sei anni di governo Calderòn sono stati stanziati diversi finanziamenti per il recupero del quartiere in cui sorgeva il night, ma le risorse sono state insufficienti. La prostituzione e i traffici, quindi, continuano…
Un’installazione composta da elementi visivi e sonori che tratta il tema della violenza contro le donne. Dai primi anni ’90 ad oggi so contano migliaia di bambine e ragazze, vittime, tra gli 11 e i 25 anni. Otto pensiline ai bordi delle strade di Ciudad Juárez, con lastre polverose a cui sono attaccati appelli per il ritrovamento delle donne, spesso ritrovate prive di vita nel deserto che circonda la città.
Le lavoratrici del sesso transessuali. Qui sono riprese nei luoghi dove sorgevano i locali in cui esercitavano il mestiere. Esigono il diritto di vivere senza avere continuamente paura di essere vittime di pregiudizi e di aggressioni.
Fogli di carta di Fabriano, posti uno sopra l’altro, che presentano forme astratte, di colore rosso in varie gradazioni. Si tratta di fluidi corporei e acqua, recuperati in un obitorio del Messico per farci riflettere sul tema della violenza diffusa, a più livelli.
Nel 2006, il Presidente Felipe Calderòn ha avviato la guerra contro la droga per sconfiggere il narcotraffico, ma questo ha fatto scoppiare la violenza che è culminata nel 2010, anno che è stato considerato il più sanguinoso nella Storia del narcotraffico del Messico. 313 copertine di quell’anno della rivista PM: quotidiano di Ciudad Juárez. Persone ammazzate, armi, corruzione e, sempre, corpi di donne nude, in pose volgari.