Un’inchiesta per denunciare le molestie e lo sfruttamento delle donne nei campi agricoli in Italia, Spagna e Marocco
di Alessandra Montesanto
Un’indagine sui campi agricoli di Italia, Spagna e Marocco per documentare le terribili condizioni di vita e di lavoro delle braccianti. Questo il nuovo lavoro di Stefania Prandi, giornalista e fotografa intitolato Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo, edito da Settenove.
Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande all’autrice e la ringrazia molto per la sua disponibilità.
Breve presentazione della mostra e del libro: come è stato possibile realizzare questo reportage?
Il reportage in tutto, tra documentazione, ricerche e interviste sul campo è durato oltre due anni con più di centotrenta interviste tra sindacati, associazioni, ricercatrici, lavoratrici. Essendo un lavoro da freelancer, la ricerca dei fondi è stata laboriosa perché per ogni zona che ho visitato avevo bisogno di un budget minimo per coprire le spese degli spostamenti, dell’alloggio, di chi mi ha messo in contatto con le lavoratrici, mi ha accompagnato nei territori e ha tradotto le lingue che non conoscevo, come l’arabo. Per riuscire a sostenere i costi vivi del progetto ho vinto dei grant e ho collaborato all’organizzazione di un crowdfunding. Il libro è stato pubblicato con la casa editrice Settenove mentre la mostra è stata allestita per la prima volta a Bologna in collaborazione con la presidente del Quartiere Santo Stefano Rosa Amorevole, l’associazione Creis e i comitati di quartiere della Coop di Bologna. Dall’autunno poi andrà in altre città.
E’ stato difficile trovare le testimonianze delle donne sfruttate e molestate nei campi agricoli in cui si è svolta la ricerca?
È stato difficile condurre l’inchiesta a causa della mancanza di consapevolezza e dell’omertà diffusa nei diversi territori. Spesso mi è stato consigliato, o meglio intimato, di lasciare perdere. La violenza sul lavoro, che include molestie sessuali, insulti, aggressioni fisiche, ricatti, fino al vero e proprio stupro, nei paesi del Mediterraneo sui quali mi sono concentrata perché sono tra i principali esportatori di verdura e frutta in Europa, è ancora tabù. È difficile da riconoscere e nominare per associazioni e sindacati, non viene considerata a dovere da chi ha il compito di esercitare la legge e quindi per le donne è difficilissimo sperare di avere giustizia.
È stato un lavoro che ha richiesto molto tempo e pazienza.
Quali sono le differenze tra le attività sindacali di Italia, Spagna e Marocco? E sono attività sufficienti a tutelare le braccianti?
È difficile generalizzare perché anche negli stessi Paesi, a seconda delle aree, ci sono situazioni diverse. Il libro e la mostra si occupano di aree specifiche di tre paesi affacciati sul mare Mediterraneo: parte della Puglia e Vittoria, in Sicilia, la provincia di Huelva, in Andalusia, e la regione di Souss-Massa. Sono aree tra le maggiori esportatrici di ortaggi e frutta in Europa e con un alto tasso (che arriva anche all’80 per cento) di manodopera femminile.
Ho visto fermento sindacale e voglia di combattere l’omertà e lo sfruttamento a Souss-Massa in Marocco. A Huelva, in Spagna, l’unico sindacato che mi ha voluto accompagnare nei campi e ha voluto commentare la situazione è stato il Sat, Sincacato Andaluso dei lavoratori. In Puglia, tra Foggia, Bari, Andria e Taranto ho visto interventi e tentativi di supporto delle lavoratrici da parte della Flai Cgil. I sindacalisti Flai Cgil mi hanno spiegato che per loro è molto difficile intervenire operativamente se le donne non decidono di denunciare le molestie, i ricatti o gli stupri. A Vittoria, in Sicilia, nonostante ripetute richieste di appuntamenti non ho ricevuto supporto dal sindacato nell’inchiesta e nessuna delle lavoratrici romene che ho incontrato lo ha mai menzionato.
Purtroppo anche quando il sindacato è presente, il suo intervento non è sufficiente. A frenare un reale cambiamento ci sono fattori socioculturali e un mercato del lavoro deregolarizzato, dove non ci sono diritti per i più deboli, ma vige la legge del più forte. Le istituzioni non fanno controlli, non favoriscono le denunce e anzi, spesso le lavoratrici non vengono credute. Inoltre i processi sono faticosi, lunghi, e costosi.
Ci può parlare dei temi principali messi in luce dal suo lavoro, quali: la violenza sessuale e lo sfruttamento ?
Nelle aree dove sono stata le braccianti sono in maggioranza donne perché costano meno degli uomini, pur svolgendo le stesse mansioni, e non si ribellano facilmente perché hanno sulle spalle il carico familiare; spesso sono madri single, divorziate oppure hanno mariti disoccupati. Inoltre, nelle culture alle quali mi riferisco, mediterranee e profondamente sessiste, le donne vengono cresciute fin da piccole con l’idea che sia necessario ubbidire e sacrificarsi in tutto e per tutto per il bene della famiglia. Quando si chiede agli abitanti delle zone dove ho realizzato l’inchiesta, perché vengono scelte soprattutto le donne, in genere ci si sente rispondere che sono predisposte “per natura” alla raccolta, perché sarebbero più delicate e pazienti. Si tratta ovviamente di uno stereotipo culturale.
Le lavoratrici sono sfruttate sui campi di giorno per pochi euro all’ora, minacciate e molestate di notte da padroni che le tengono in pugno in cambio della certezza di un lavoro.
Le è rimasta impressa qualche testimonianza in particolare?
Ce ne sono molte che si possono trovare nel libro per chi fosse interessato a saperne di più.