Lovegiving. Il diritto alla sessualità
A cura di Alessandra Montesanto
Associazione per i Diritti umani ha intervistato per voi Maximiliano Ulivieri, personal life e love coacher. Project manager per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, scrittore, attore. Ci parlerà del lovegiving e della battaglia per la garantire l’amore erotico alle persone con disabilità.
Ringraziamo moltissimo Maximiliano Ulivieri per la sua disponibilità.
Il diritto alla sessualità è un diritto universale, ma vuole specificare perché bisogna parlare dello stesso diritto per le persone con una disabilità fisica o psichica?
Cominciamo a definire bene cosa significa avere diritto alla sessualità. Nel 1999 ad Hong Kong dall’Assemblea Generale della WAS, riaffermata in seguito nel documento WAS Declaration: Sexual Health for the Millennium, pubblicato nel 2008, in cui veniva descritto lo stato dell’arte della sessualità nel mondo e delineate le proposte tecniche per riconoscere, promuovere, garantire e proteggere i diritti sessuali per tutti. Venivano dunque illustrati 11 differenti diritti sessuali, noti come“diritti universali umani basati sulla libertà, dignità ed uguaglianza di tutti gli esseri umani”.
La WAS ribadiva inoltre che “come la salute è un diritto umano fondamentale, così la salute sessuale deve essere un diritto umano basilare. I seguenti diritti sessuali devono essere riconosciuti, promossi, rispettati e difesi da tutte le società attraverso tutti i mezzi, con l’obiettivo di fare in modo che tutti gli esseri umani e le società sviluppino una sessualità salutare. La salute sessuale è il risultato di un ambiente che riconosce, rispetta ed esercita questi diritti sessuali”.
Chiaro? Per me sì, ma non per tutti. Le persone più “semplici” intellettualmente, tanto per usare un termine delicato e non offensivo, nel pensare al diritto alla sessualità commentano dicendo “ok, allora tutti hanno diritto al sesso a prescindere dalla propria condizione e dunque portatemi colui o colei con cui poterlo fare”. Non è questo il senso. Diritto alla sessualità vuol dire che lo Stato si attiva ad abbattere tutte quelle barriere, fisiche o culturali, che non ti permettono di poter accedere liberamente a tale diritto. Cosa vuol dire nello specifico. Ad esempio, partendo dalle barriere culturali, si può cercare di evitare stereotipi di bellezza diffondendo la diversificazione dei corpi, magari attraverso i media. Abituare l’occhio alla diversità. Chiaramente questo non riguarda solo le disabilità. Tutti colori che si differenziano dallo stereotipo di bellezza. Vale per chi è “troppo” grasso o “troppo” magro. O “troppo” alto o “troppo” basso. Oppure con deturpazioni estetiche dovute a traumi o sindromi come la Tratcher-Collins o la Neurofibromatosi 1. Ecco, allora, che per difendere il diritto alla sessualità si devono abbattere certi stereotipi così da rendere attraente qualsiasi corpo. Oppure abbattere le barriere fisiche. Ogni persona deve poter frequentare quei luoghi dove ci si può conoscere, così da poter avere più possibilità di trovare la persona giusta. Entrare nei locali. Potersi muovere liberamente con i mezzi. Mettere tutti nelle condizioni di poter comunicare. La comunicazione è fondamentale nella ricerca di un partner. Ci sono situazioni che rendono complessa questa possibilità. In questi casi, lo Stato può aiutare con la tecnologia.
Abbiamo compreso, allora, cosa voglia dire “diritto alla sessualità”? Abbattere tutte quelle barriere che ostacolano la libertà di poter accedere a questo diritto. Ci sono altri ostacoli oltre a quelli descritti? Sì, quelli dovuti a gravi condizioni di disabilità. Non stiamo parlando solo di sesso con un’altra persona ma anche della possibilità di scoprire il proprio corpo. Questa scoperta per molti è preclusa da disabilità gravi oppure ostacolata o ignorata da genitori con mentalità molto chiusa o iperprotettiva.
Detto questo, vi chiederete: perché si deve parlare dello stesso diritto per le persone con disabilità? La risposta è già nella domanda: persone. Una persona con disabilità è una persona. Per cui ha desideri come tutte le persone.
Lei è il fondatore del comitato LOVE GIVER: quando è nato e come funziona la sua attività?
Il Comitato LoveGiver è nato nel 2013. Il Comitato è una ONLUS. Il Comitato è formato da psicologi, sessuologi, medici, educatori e attivisti. Il Comitato si occupa dell’assistenza alla sessualità a persone con disabilità. Questa figura rappresenta un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” e “educazione”, che solo per un paese civile può rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale”.
Per questo motivo parlare semplicemente di Assistenza Sessuale può risultare estremamente riduttivo. Qualificarne il concetto più complesso attraverso la definizione “Assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità”, permette di comprendere meglio tutte quelle sfumature in essa contenute.
L’assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità si caratterizza con la libertà di scelta da parte degli esseri umani di vivere e condividere la propria esperienza erotico-sessuale a prescindere dalle difficoltà riscontrate nell’esperienza di vita.
L’assistente sessuale è un operatore professionale (uomo o donna) con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale che deve avere delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane” (è bene ribadire l’importanza di una selezione accurata degli aspiranti assistenti sessuali).
Attraverso la sua professionalità supporta le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale. Gli incontri, infatti, si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica.
L’operatore definito del “benessere sessuale” ha dunque una preparazione adeguata e qualificante e non concentrerà esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” sessualità. Promuoverà attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità.
Uno degli obiettivi è abbattere lo stereotipo (ancora pervasivo) che vede le persone con difficoltà e disabilità assimilate alla “asessualità” o comunque ritenute non idonee a vivere e sperimentare la sessualità. E’ importante, in questo senso, riuscire a superare l’idea di “angeli asessuati”.
In Italia è ancora un tabù parlare di questo tema? E nel resto di Europa?
In Italia è un tabù parlare di sessualità in generale. Non solo per le persone con disabilità. Basta ricordare che non c’è neanche un’educazione sessuale nelle scuole. Le motivazioni sono varie, certamente culturali, probabilmente anche religiose. In realtà nel “sotterraneo” la sessualità viene vissuta in svariati modi: locali di scambisti, BDSM, sesso estremo e molti altri. In superfice però tutto tace. Ci vergogniamo pure di parlare di masturbazione. Non sappiamo neanche scherzare con la sessualità, giocare. Ogni volta che si nomina il sesso si diventa terribilmente seri. Ci dimentichiamo che il sesso è l’energia più potente che ci è stata data e viverla ci può dare la spinta a gioire della vita. In Europa certamente la situazione è migliore. Non in tutti i Paesi ma certamente in molti.
Come dovrebbero agire le istituzioni?
Le istituzioni devono aumentare la capacità di percepire i bisogni inespressi. Non si devono mettere solo in modalità passiva, attendendo le istanze a gran voce ma ricordarsi che nella vita di una persona ci sono molti aspetti, non solo alcuni e spesso quelli più taciuti sono i più importanti.
Può riassumerci la sua proposta di legge da lei presentata? E a che punto è il suo iter?
“In Italia lo scoglio delle barriere architettoniche e sociali continua a negare la piena cittadinanza e lo sviluppo individuale di migliaia di cittadini che convivono con una forma di disabilità. Accessibilità e parità di trattamento è la chiave per un’azione massiccia di interventi che garantiscano il pieno inserimento delle persone con disabilità. Così sia, ma senza perbenismi e riserve sessuofobiche: nella giornata di oggi rilancio la mia proposta di regolamentazione della figura di assistente sessuale per le persone con disabilità che dal settembre 2014 giace in Commissione sanità al Senato”. Così ha parlato il senatore del Partito Democratico, Sergio Lo Giudice, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità.
Il ddl 1442, steso con il mio contributo, quello di Fabrizio Quattrini (membro del Comitato, psicologo, sessuologo e psicoterapista) e del Senatore Sergio Lo Giudice, introdurrebbe, come in altri paesi europei, una figura professionale che, dopo aver seguito un attento percorso di formazione, accompagnerebbe le persone con disabilità fisica, intellettiva o mentale verso la scoperta del proprio corpo e della sfera affettiva e sessuale. È una proposta di civiltà per il diritto alla salute – afferma Lo Giudice – che col raggiungimento di una condizione di benessere psicofisico, emotivo e sessuale permetterebbe a molte e a molti di uscire dall’emarginazione affettiva e relazionale”.
Il ddl 1442 “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità” è stato sottoscritto anche dalle senatrici e dai senatori Cirinnà, D’Adda, Guerra, Ichino, Manconi, Maran, Mastrangeli, Mattesini, Pezzopane, Puppato, Ricchiuti, Sonego, Spilabotte, Valentini, Bencini e Maurizio Romani. Gli assistenti sessuali sono presenti in Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Austria.
Purtroppo, il ddl non è mai stato calendarizzato, quindi discusso. Chiaramente con il nuovo governo ci vuole qualcuno che lo ripresenti. Una legge nazionale però non è l’unica via. Ci può essere anche una regione a voler sperimentare con una legge regionale tale figura.
Concludo dicendo che il Comitato “LoveGiver” ha comunque realizzato il primo corso a settembre 2017 formando 17 persone, uomini e donne e di qualunque orientamento sessuale. Gli operatori formati sono pronti ad intraprendere la professione.
Il diritto alla sessualità è un diritto universale, ma vuole specificare perché bisogna parlare dello stesso diritto per le persone con una disabilità fisica o psichica?
Cominciamo a definire bene cosa significa avere diritto alla sessualità. Nel 1999 ad Hong Kong dall’Assemblea Generale della WAS, riaffermata in seguito nel documento WAS Declaration: Sexual Health for the Millennium, pubblicato nel 2008, in cui veniva descritto lo stato dell’arte della sessualità nel mondo e delineate le proposte tecniche per riconoscere, promuovere, garantire e proteggere i diritti sessuali per tutti. Venivano dunque illustrati 11 differenti diritti sessuali, noti come“diritti universali umani basati sulla libertà, dignità ed uguaglianza di tutti gli esseri umani”.
La WAS ribadiva inoltre che “come la salute è un diritto umano fondamentale, così la salute sessuale deve essere un diritto umano basilare. I seguenti diritti sessuali devono essere riconosciuti, promossi, rispettati e difesi da tutte le società attraverso tutti i mezzi, con l’obiettivo di fare in modo che tutti gli esseri umani e le società sviluppino una sessualità salutare. La salute sessuale è il risultato di un ambiente che riconosce, rispetta ed esercita questi diritti sessuali”.
Chiaro? Per me sì, ma non per tutti. Le persone più “semplici” intellettualmente, tanto per usare un termine delicato e non offensivo, nel pensare al diritto alla sessualità commentano dicendo “ok, allora tutti hanno diritto al sesso a prescindere dalla propria condizione e dunque portatemi colui o colei con cui poterlo fare”. Non è questo il senso. Diritto alla sessualità vuol dire che lo Stato si attiva ad abbattere tutte quelle barriere, fisiche o culturali, che non ti permettono di poter accedere liberamente a tale diritto. Cosa vuol dire nello specifico. Ad esempio, partendo dalle barriere culturali, si può cercare di evitare stereotipi di bellezza diffondendo la diversificazione dei corpi, magari attraverso i media. Abituare l’occhio alla diversità. Chiaramente questo non riguarda solo le disabilità. Tutti colori che si differenziano dallo stereotipo di bellezza. Vale per chi è “troppo” grasso o “troppo” magro. O “troppo” alto o “troppo” basso. Oppure con deturpazioni estetiche dovute a traumi o sindromi come la Tratcher-Collins o la Neurofibromatosi 1. Ecco, allora, che per difendere il diritto alla sessualità si devono abbattere certi stereotipi così da rendere attraente qualsiasi corpo. Oppure abbattere le barriere fisiche. Ogni persona deve poter frequentare quei luoghi dove ci si può conoscere, così da poter avere più possibilità di trovare la persona giusta. Entrare nei locali. Potersi muovere liberamente con i mezzi. Mettere tutti nelle condizioni di poter comunicare. La comunicazione è fondamentale nella ricerca di un partner. Ci sono situazioni che rendono complessa questa possibilità. In questi casi, lo Stato può aiutare con la tecnologia.
Abbiamo compreso, allora, cosa voglia dire “diritto alla sessualità”? Abbattere tutte quelle barriere che ostacolano la libertà di poter accedere a questo diritto. Ci sono altri ostacoli oltre a quelli descritti? Sì, quelli dovuti a gravi condizioni di disabilità. Non stiamo parlando solo di sesso con un’altra persona ma anche della possibilità di scoprire il proprio corpo. Questa scoperta per molti è preclusa da disabilità gravi oppure ostacolata o ignorata da genitori con mentalità molto chiusa o iperprotettiva.
Detto questo, vi chiederete: perché si deve parlare dello stesso diritto per le persone con disabilità? La risposta è già nella domanda: persone. Una persona con disabilità è una persona. Per cui ha desideri come tutte le persone.
Lei è il fondatore del comitato LOVE GIVER: quando è nato e come funziona la sua attività?
Il Comitato LoveGiver è nato nel 2013. Il Comitato è una ONLUS. Il Comitato è formato da psicologi, sessuologi, medici, educatori e attivisti. Il Comitato si occupa dell’assistenza alla sessualità a persone con disabilità. Questa figura rappresenta un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” e “educazione”, che solo per un paese civile può rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale”.
Per questo motivo parlare semplicemente di Assistenza Sessuale può risultare estremamente riduttivo. Qualificarne il concetto più complesso attraverso la definizione “Assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità”, permette di comprendere meglio tutte quelle sfumature in essa contenute.
L’assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità si caratterizza con la libertà di scelta da parte degli esseri umani di vivere e condividere la propria esperienza erotico-sessuale a prescindere dalle difficoltà riscontrate nell’esperienza di vita.
L’assistente sessuale è un operatore professionale (uomo o donna) con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale che deve avere delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane” (è bene ribadire l’importanza di una selezione accurata degli aspiranti assistenti sessuali).
Attraverso la sua professionalità supporta le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale. Gli incontri, infatti, si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica.
L’operatore definito del “benessere sessuale” ha dunque una preparazione adeguata e qualificante e non concentrerà esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” sessualità. Promuoverà attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità.
Uno degli obiettivi è abbattere lo stereotipo (ancora pervasivo) che vede le persone con difficoltà e disabilità assimilate alla “asessualità” o comunque ritenute non idonee a vivere e sperimentare la sessualità. E’ importante, in questo senso, riuscire a superare l’idea di “angeli asessuati”.
In Italia è ancora un tabù parlare di questo tema? E nel resto di Europa?
In Italia è un tabù parlare di sessualità in generale. Non solo per le persone con disabilità. Basta ricordare che non c’è neanche un’educazione sessuale nelle scuole. Le motivazioni sono varie, certamente culturali, probabilmente anche religiose. In realtà nel “sotterraneo” la sessualità viene vissuta in svariati modi: locali di scambisti, BDSM, sesso estremo e molti altri. In superfice però tutto tace. Ci vergogniamo pure di parlare di masturbazione. Non sappiamo neanche scherzare con la sessualità, giocare. Ogni volta che si nomina il sesso si diventa terribilmente seri. Ci dimentichiamo che il sesso è l’energia più potente che ci è stata data e viverla ci può dare la spinta a gioire della vita. In Europa certamente la situazione è migliore. Non in tutti i Paesi ma certamente in molti.
Come dovrebbero agire le istituzioni?
Le istituzioni devono aumentare la capacità di percepire i bisogni inespressi. Non si devono mettere solo in modalità passiva, attendendo le istanze a gran voce ma ricordarsi che nella vita di una persona ci sono molti aspetti, non solo alcuni e spesso quelli più taciuti sono i più importanti.
Può riassumerci la sua proposta di legge da lei presentata? E a che punto è il suo iter?
“In Italia lo scoglio delle barriere architettoniche e sociali continua a negare la piena cittadinanza e lo sviluppo individuale di migliaia di cittadini che convivono con una forma di disabilità. Accessibilità e parità di trattamento è la chiave per un’azione massiccia di interventi che garantiscano il pieno inserimento delle persone con disabilità. Così sia, ma senza perbenismi e riserve sessuofobiche: nella giornata di oggi rilancio la mia proposta di regolamentazione della figura di assistente sessuale per le persone con disabilità che dal settembre 2014 giace in Commissione sanità al Senato”. Così ha parlato il senatore del Partito Democratico, Sergio Lo Giudice, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità.
Il ddl 1442, steso con il mio contributo, quello di Fabrizio Quattrini (membro del Comitato, psicologo, sessuologo e psicoterapista) e del Senatore Sergio Lo Giudice, introdurrebbe, come in altri paesi europei, una figura professionale che, dopo aver seguito un attento percorso di formazione, accompagnerebbe le persone con disabilità fisica, intellettiva o mentale verso la scoperta del proprio corpo e della sfera affettiva e sessuale. È una proposta di civiltà per il diritto alla salute – afferma Lo Giudice – che col raggiungimento di una condizione di benessere psicofisico, emotivo e sessuale permetterebbe a molte e a molti di uscire dall’emarginazione affettiva e relazionale”.
Il ddl 1442 “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità” è stato sottoscritto anche dalle senatrici e dai senatori Cirinnà, D’Adda, Guerra, Ichino, Manconi, Maran, Mastrangeli, Mattesini, Pezzopane, Puppato, Ricchiuti, Sonego, Spilabotte, Valentini, Bencini e Maurizio Romani. Gli assistenti sessuali sono presenti in Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Austria.
Purtroppo, il ddl non è mai stato calendarizzato, quindi discusso. Chiaramente con il nuovo governo ci vuole qualcuno che lo ripresenti. Una legge nazionale però non è l’unica via. Ci può essere anche una regione a voler sperimentare con una legge regionale tale figura.
Concludo dicendo che il Comitato “LoveGiver” ha comunque realizzato il primo corso a settembre 2017 formando 17 persone, uomini e donne e di qualunque orientamento sessuale. Gli operatori formati sono pronti ad intraprendere la professione.