“Stay human. Africa”. Lapidate Safiya
di Veronica Tedeschi
Safiya Hussaini, donna, moglie e madre.
Vive nel nord della Nigeria, nel villaggio di Tungar Tudu, dove ancora oggi vige la sharia, la legge coranica applicata in modo rigido. Ed è proprio a causa della legge-sharia che la protagonista del libro di Raffaele Masto, deve subire più e più ingiustizie.
Ho deciso di scrivere di Safiya non per stendere la recensione di un libro ma con lo scopo di mettere in luce la situazione di molte donne costrette ad accettare i dettami di una religione che, solo in alcuni casi, si impone sulla vita di molte donne africane e medio orientali.
Una bambina, Safiya, nata in un villaggio molto povero della Nigeria, che vive spensierata la sua infanzia e che, come qualsiasi bambina, non vede l’ora di poter andare a scuola, imparare e crescere. Tutto va secondo le prescrizioni di Allah, fino a quando a 12 anni viene concessa in matrimonio. In queste zone il matrimonio forzato è un evento normale, si impone nella vita di molte bambine, costrette ad accettare un allontanamento improvviso dalla loro infanzia per diventare immediatamente donne.
“La mamma mi abbracciò, mi accarezzò la testa, ma non parlò. Il suo abbraccio muto era la risposta che non volevo: non c’era niente da fare. Il mio matrimonio era deciso. Si sarebbe fatto anche contro la mia volontà. Mi avrebbero venduta a un uomo che non conoscevo.”
Safiya, ormai divenuta donna e moglie devota, è costretta a superare una serie di prove: diventa madre di 7 figli, viene ripudiata più volte e sconfitta dal dolore per la morte di 2 dei suoi bambini causa varicella.
Una serie di ostacoli, voluti ancora una volta da Allah, che però non fanno perdere d’animo la donna che, anche con l’ultimo figlio in grembo e con una sentenza di lapidazione per adulterio, non perde la forza e la voglia di crescere Adama.
“Il mio destino… impossibile non pensarci. Stava là, a margine dei miei pensieri come un’ombra malvagia in agguato, pronto a balzare fuori per terrorizzarmi ogni volta che i miei occhi si posavano su una pietra, una delle tante sparse sulla terra polverosa. Le pietre mi avrebbero straziata e uccisa. Il mio destino era la lapidazione.”
La storia di Safiya ha ormai più di dieci anni ma è ancora di grande attualità. Il contesto nigeriano è ancora il medesimo, i contrasti e gli interessi, anche.
Ancora una volta viene rimarcata la contrapposizione tra il Nord e il Sud della Nigeria che è ancora oggi l’elemento principale della politica interna di questo Paese. Un Nord musulmano e un Sud cristiano che si dividono anche sul piano giuridico: da una parte un sistema di leggi che discendono dai dettami della religione e dall’altra un sistema laico, il tutto in uno Stato federale che solo sulla carta è unitario.
Safiya era il pretesto per uno scontro tra élite politiche, economiche e militari che si contendevano (e si contendono ancora) la gestione di un Paese ricchissimo e potente dal punto di vista regionale e continentale. Attraverso la sua storia si capisce come la religione sia spesso un pretesto per regolare conti, per giocarsi potere e influenza. Safiya, ignara donna di un villaggio di poco più di trecento abitanti, era usata dalla macchina tritatutto della politica come oggi quella stessa macchina usa Boko Haram.
Safiya si è salvata grazie anche all’intervento dei media internazionali che hanno portato alla luce un caso che come mille altri doveva rimanere di limitato interesse.
Molte donne, spose bambine, madri sfruttate che non vengono salvate dalla mobilitazione internazionale, rimangono uccise, lapidate o torturate.
Un libro forte, dopo la lettura del quale tutte le donne dovrebbero sentirsi un po’ Safiya.