“Stay human. Africa”. Gli africani come gli europei
di Veronica Tedeschi
Le emergenze, di qualsiasi tipo, sono enfatizzate e aumentate rispetto alla realtà se alla base vi è ignoranza positiva, intesa come non conoscenza della realtà dei fatti. Leggendo i giornali e ascoltando i Tg in questi giorni noto sempre di più un’ignoranza verso l’Africa, o, per essere più chiari, verso le tante afriche che si trovano all’interno del grande continente.
“Africani” è come dire “europei” perciò sfido ognuno di voi a voler essere associato ad un francese o ad un tedesco (scegliete voi in base a quale popolazione vi sta più antipatica). Per questo motivo avrei voluto dedicare il mio articolo di questa settimana ad una carrellata di racconti delle vicende politiche attuali di tutti gli stati africani. Ho poi abbandonato l’idea per non annoiare il lettore e per rendere più pratico il tutto.
Parto da un dato reale, da un argomento che ormai sta sulla bocca di tutti, l’immigrazione. Ho deciso di raccontarvi di qualche popolazione, a partire da quelle che si trovano nell’elenco dell’Unhcr come “le nazionalità più comuni degli arrivi dal mar Mediterraneo da gennaio 2018 ad oggi” (Consiglio un approfondimento: http://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean#_ga=2.89110296.201268303.1531901581-1091684649.1524560616 )
Ovviamente, non troviamo solo popolazioni africane e purtroppo i siriani mantengono il primo posto da qualche tempo.
Questo schema si aggiorna di giorno in giorno, le percentuali aumentano e diminuiscono con ogni sbarco; nei mesi scorsi per esempio, in questo elenco erano presenti anche Senegal e Sudan.
Partiamo dalla Guinea, dove il rinvio delle elezioni di febbraio 2018 e la possibile ricandidatura di Condé, ha determinato nuovamente tensioni sociali. Secondo il rapporto di Amnesty International, almeno 18 persone sono state uccise e altre decine sono rimaste ferite nel contesto di eventi di protesta. A febbraio, sette persone hanno perso la vita nella capitale Conakry, durante le proteste legate a uno sciopero per la decisione delle autorità di rivedere i termini contrattuali del personale docente e per la chiusura di alcuni istituti scolastici.
Giornalisti, difensori dei diritti umani e altri che avevano espresso il loro dissenso sono stati sottoposti a percosse e a detenzione arbitraria. Almeno 20 persone sono state arrestate unicamente per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione e altre 20 hanno subìto violenze da parte della polizia. A febbraio, agenti della sicurezza hanno arrestato la corrispondente di Radio Lynx Fm Mariam Kouyaté, mentre svolgeva un’inchiesta sui servizi sanitari erogati all’ospedale Ignace Deen di Conakry. La giornalista è stata interrogata presso un commissariato di polizia, dopo che si era rifiutata di consegnare il suo tesserino professionale e l’attrezzatura di registrazione; è stata rilasciata il giorno stesso senza accusa.
Impunità generale per reati come tortura e omicidi nei confronti di oppositori e la grave instabilità politica porta la Guinea tra i primi posti del nostro elenco.
Il Mali, la continua presenza del terrorismo ha inasprito anche i conflitti tra i vari gruppi etnici. La Minusma, Missione delle Nazioni Unite in Mali, ha registrato 155 attacchi contro le proprie truppe di peacekeeping. In un paese in cui neanche le forze di protezioni hanno tutela, si può affermare che la sicurezza è veramente ai minimi e che le persone non possano girare liberamente per le città. Anche la libertà di espressione e di parole è sotto attacco.
L’Esperto indipendente delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Mali ha espresso preoccupazione anche per l’alto numero di scuole chiuse a causa della situazione d’insicurezza, nelle aree centrali e settentrionali del paese, che aveva privato almeno 150.000 bambini del loro diritto all’istruzione.
La Tunisia, a sette anni dalla fine della primavera araba, vede i suoi cittadini tornare in strada per reclamare giustizia sociale e migliori condizioni economiche.
Il Governo, a sua volta, schiera in difesa l’esercito che ha arrestato più di 700 persone. Una fragilità economica che porta il paese ad avere condizioni di vita non più sostenibili, aggravate a partire dai non dimenticati attentati terroristici del 2015 che hanno messo a dura prova il governo e l’economia del paese.
Migliaia di eritrei continuano a fuggire dal paese e ad affrontare gravi violazioni dei diritti umani durante il transito o una volta arrivati nei paesi di destinazione. Il Sudan è rimasto uno snodo cruciale di transito per i rifugiati eritrei. In un caso, verificatosi ad agosto, i tribunali sudanesi hanno disposto l’espulsione di 104 rifugiati e il loro ritorno in Eritrea, dove rischiavano di subire gravi violazioni dei diritti umani. Si sono ripetuti casi di detenzione arbitraria e sparizione forzata, per le quali le forze di sicurezza non sono state chiamate a rispondere. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici, compresi ex esponenti politici, giornalisti e seguaci di culti religiosi non autorizzati, hanno continuato a essere detenuti senza accusa né processo e senza possibilità di accedere a un avvocato o di contattare la famiglia.
Costa d’Avorio, un governo fragile che sta cercando di ricostruirsi. Sono state adottate delle leggi per limitare la libertà di espressione e a febbraio la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per reprimere una protesta pacifica dei coltivatori di cacao e dei membri del sindacato nazionale degli agricoltori.
Da non sottovalutare anche le 2.569 persone inserite, probabilmente a causa della mancata identificazione, nella voce “Altro, Africa sub-sahariana”, dove troveremo sicuramente Senegal, Nigeria, Sudan, Sud Sudan, con altrettante storie di politica interna.
(Fonte: Rapporto annuale Amnesty International 2018)