Giovani e rifugiati del Mediterraneo si muovono con l’Erasmus virtuale
di Giuseppe Acconcia e Francesca Helm1
«È rivoluzionario: una possibilità innovativa per condividere visioni diverse, imparare dagli altri, capire prospettive diverse», ci ha spiegato una giovane intervistata che ha appena concluso la sua esperienza di Erasmus+ Virtual Exchange.
Dall’Erasmus al Virtual Exchange
Dal 1987, quando è partito il programma Erasmus ad oggi, 9 milioni di persone vi hanno preso parte, secondo i dati forniti dalla Commissione europea. Si tratta forse del programma europeo che ha ottenuto più successo negli ultimi trent’anni. Il vero punto di svolta è arrivato nel 2007 quando il programma si è esteso oltre i confini dell’Unione. E così dal 2014 l’Erasmus+ ingloba tutte le iniziative di scambio per studio, insegnamento, formazione professionale, volontariato e cooperazione.
Nel 2018 è stata lanciata la versione virtuale del programma con lo scopo di utilizzare la tecnologia per aprire nuove opportunità di scambio e dialogo interculturale aprendosi al Mediterraneo: con Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia a fare da apripista. «È una grande speranza, è importante, qualcosa di veramente nuovo. Costi e tempi di viaggio vengono azzerati, e si trova uno spazio confortevole che permette di compararsi agli altri, di esprimere opinioni senza limiti, includendo persone che prima erano escluse, soprattutto da paesi in via di sviluppo», ha aggiunto l’intervistata.
Già nel 2011, durante le rivolte in Nord Africa e Medio Oriente, le così dette Primavere arabe, la Commissione europea aveva puntato sull’aumento del numero di borse di studio per il programma Erasmus+. E così, l’associazione UNIMED, che raggruppa 108 università in 23 paesi, nel dicembre 2017 ha lanciato una petizione per chiedere all’Unione europea di aumentare fino a 30 mila il numero di borse di studio per gli scambi euro-mediterranei tra il 2021 e il 2027.
La prossima frontiera da abbattere è tra le due sponde del Mediterraneo, coinvolgendo anche giovani rifugiati. Tutto sembra andare in questa direzione con il progetto pilota di Virtual Exchange. E così se la dotazione finanziaria del programma Erasmus per il periodo 2014-2020 è stata di 14,7 miliardi di euro, la proposta è di raddoppiarla nel periodo 2021-2027.
La parola ai giovani partecipanti
Abbiamo ascoltato le prime esperienze di alcuni giovani partecipanti all’interno dei programmi di Erasmus+ Virtual Exchange, come parte di un progetto di valutazione delle esperienze di scambio virtuale che l’Università di Padova sta svolgendo insieme ad altri centri di ricerca europei. Tutti gli intervistati hanno ammesso di aver avuto una buona esperienza di Virtual Exchange in termini di relazioni interculturali. «È stata davvero una bella esperienza, siamo ancora in contatto. Ero l’unico rifugiato del mio gruppo ed ero molto interessato a conoscere l’esperienza degli altri: è stato molto emozionante», ci ha confessato uno degli intervistati.
Alcuni dei notri intervistati hanno cofermato che questa esperienza ha permesso loro di rivalutare gli stereotipi che avevano. «Ha migliorato molto le mie capacità di comunicazione, abbiamo imparato a non giudicare gli altri e a metterci nei panni degli altri. Abbiamo acquisito capacità che ci serviranno nella vita quotidiana», ha aggiunto un altro intervistato.
Non solo, i partecipanti hanno incontrato persone con background molto diversi tra loro, hanno discusso argomenti di diverso genere e costruito relazioni interpersonali significative. La maggior parte degli intervistati ha avuto contatti e costruito amicizie al di fuori del programma, pianificando di vedersi nel vicino futuro.
Tutti gli intervistati si sono detti felici di avere altre esperienze di scambi virtuali. «Gli scambi virtuali sono il futuro, è stato più semplice e interessante di quanto mi aspettassi. Parteciperò di nuovo», ha spiegato un’intervistata. I giovani che hanno partecipato alla nostra ricerca hanno ammesso che l’esperienza ha ampliato le loro capacità di comunicazione, le abilità di lavoro di gruppo e di soluzione dei problemi. Molti hanno confermato miglioramenti nell’uso della lingua inglese, sebbene anche altre lingue (come tedesco, francese, italiano e arabo) siano state usate dai giovani partecipanti.
Alcuni degli intervistati hanno evidenziato dei problemi riguardanti la connessione internet o i progetti video. Altri hanno ammesso che argomenti riguardanti la crisi dei migranti in Europa sarebbero potuti essere affrontati più nello specifico. «Soltanto uno dei partecipanti nel mio gruppo si era occupato in precedenza di politiche in materia di rifugiati, nessuno tra gli europei che hanno partecipato al programma aveva delle idee chiare su richiedenti asilo e rifugiati. Sarebbe stato utile discutere con esperti in materia in tema di rifugiati nei loro paesi», ha aggiunto uno degli intervistati. Non solo, un interesse particolare è stato notato per una possibile discussione sulla rappresentazione che i media fanno degli eventi internazionali a livello locale o sulle politiche migratorie nei vari paesi.
Almeno fino al 2027, i giovani del Mediterraneo potranno finalmente sentirsi più vicini anche attraverso i progetti di scambio virtuale che superano la formula rodata dell’Erasmus. Questa iniziativa apre le porte a possibilità ancora non esplorate, come approfondire temi di interesse comune e di attualità, inclusa la crisi dei migranti che colpisce le due sponde del Mediterraneo. Virtual Exchange è ormai una realtà per superare qualsiasi barriera economica e politica alla mobilità dei giovani europei e nordafricani.
1 Università di Padova