“Imprese e diritti umani”. Trattato su diritti umani e imprese: una strada percorribile, forse
di Fabiana Brigante
Durante la 26ª sessione del Consiglio dei Diritti Umani tenutasi a Ginevra nel giugno 2014, Ecuador e Sudafrica hanno presentato una risoluzione al Consiglio diretta ad istituire un gruppo di lavoro intergovernativo con il mandato di elaborare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sulle imprese multinazionali ed altre imprese commerciali in relazione ai diritti umani.
L’idea di un trattato che regolamenti il comportamento delle imprese è tutt’altro che nuova. Nel 1972, l’ONU creò il Centro delle Nazioni Unite sulle società transnazionali (UNCTC), con il compito di creare per le stesse un codice di condotta da seguire. I negoziati durarono 15 anni, terminando infruttuosamente nel 1992 a causa di disaccordi inconciliabili tra i paesi socialisti in via di sviluppo e le economie più avanzate. Il fallimento dell’iniziativa ha portato, negli anni successivi, all’adozione di strumenti meno ambiziosi e non giuridicamente vincolanti e di cui si è già parlato nella presente rubrica nelle scorse settimane. Si tratta essenzialmente di linee guida o principi il cui rispetto è affidato alla volontà delle società multinazionali e dei paesi beneficiari. Dunque, se da un lato la preoccupazione delle imprese di proiettare sui propri consumatori una buona immagine può spingere le stesse ad adottare comportamenti “socialmente responsabili”, dall’altro il carattere non vincolante di questi strumenti impedisce di assicurarne coattivamente il rispetto, e allo stesso tempo non offre alle vittime alcuno strumento effettivo di protezione.
Per questo ed altri motivi il dibattito circa la stipulazione di un trattato vincolante per le imprese non è di poco momento; il suo maggior merito sarebbe appunto garantire la diretta responsabilità delle imprese nel caso in cui queste ultime perpetrino violazioni dei diritti umani. Attualmente, infatti, è solo in capo agli stati che vige tale dovere, poiché tradizionalmente essi sono considerati gli unici soggetti di diritto internazionale, causando un clima generale di impunità nel quale i soggetti del settore privato sono esenti da responsabilità giuridiche.
Tuttavia, una delle obiezioni che sono state mosse dalla dottrina alla possibilità di un trattato giuridicamente vincolante per le imprese è rappresentata da uno studio condotto da Oona Hathaway, professoressa dell’Università di Yale, teso a monitorare lo stato dei diritti umani in 166 paesi. Esso ha rilevato che nessun trattato ha avuto un effetto positivo sui diritti umani; addirittura in alcuni casi le situazioni esistenti sono peggiorate. I risultati di questa ricerca sono stati ripresi da Eric Posner, professore di diritto internazionale all’Università di Chicago, il quale ha affermato che “ci sono poche prove che i trattati sui diritti umani abbiano migliorato il benessere delle persone”.
Inoltre, gli oppositori sostengono che, se da un lato un trattato dovrebbe essere inclusivo delle voci più deboli, vale a dire i paesi in via di sviluppo, dall’altro lato l’idea di redigere un trattato in grado di soddisfare tutti gli interessi in competizione è considerata utopica. Su questo punto, John Ruggie, autore de Principi Guida delle Nazioni Unite sulle Imprese e i Diritti Umani di cui si è già parlato, curiosamente uno dei più veementi avversari del trattato, ha espresso la preoccupazione che non solo i negoziati impiegherebbero molti anni prima di arrivare a una bozza finale, ma ci sarebbe anche il rischio di inasprire la polarizzazione storica delle posizioni contrastanti degli stati e che i Principi Guida avevano faticosamente tentato di superare.
La critica ha colpito molti altri punti di questa proposta. Alcuni hanno contestato la scelta di includere nell’ambito del trattato solo le società multinazionali, ritenendo che esse sarebbero penalizzate rispetto alle società locali, e che ciò ridurrebbe anche la portata dei Principi Guida. Inoltre, Ruggie ha sottolineato che, a causa della natura peculiare dell’area di business, sarebbe difficile stabilire una singola serie di obblighi. Interessante è la posizione di coloro che sostengono che il sistema creato dai Principi Guida incoraggia gli stati e le imprese a rispettare i diritti umani con la promessa di essere ricompensati per questo, mentre un trattato costringerebbe questi ultimi a rispettare certe regole sotto la minaccia della punizione, con il risultato che essi si limiteranno a rispettare lo standard minimo imposto.
Nonostante le perplessità di parte della dottrina, nel luglio di quest’anno è stato adottato il “Draft Zero”, ossia la prima bozza ufficiale dello strumento giuridicamente vincolante per regolamentare, nel diritto internazionale dei diritti umani, le attività delle multinazionali e di altre imprese. Cerchiamo di far luce su quest’ultimo per comprenderne la portata. In primis, vi è da dire che lo scopo del trattato, come previsto all’articolo 2, è “rafforzare il rispetto, la promozione, la protezione e la realizzazione dei diritti umani” e “assicurare un accesso effettivo alla giustizia e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani” nel contesto delle attività delle imprese transnazionali, promuovendo la cooperazione internazionale in questo senso. Il trattato si applica “alle violazioni dei diritti umani nel contesto di qualsiasi attività commerciale di carattere transnazionale” (articolo 3). La giurisdizione è del tribunale dello Stato in cui tali atti o omissioni si sono verificati o in cui il presunto autore è domiciliato. L’articolo 8 afferma il diritto delle vittime a un “accesso equo, efficace e rapido alla giustizia e ai rimedi” conformemente al diritto internazionale, tra cui: restitutio in integrum, risarcimento, riabilitazione, non ripetizione, risanamento ambientale e ripristino ecologico. Gli Stati parti dovranno: i) garantire il diritto delle vittime di presentare reclami al proprio tribunale; ii) indagare sulle violazioni dei diritti umani e agire contro i perpetratori delle stesse; iii) fornire assistenza legale alle vittime; iv) istituire un fondo internazionale per le vittime; v) fornire meccanismi efficaci per l’applicazione dei rimedi; e vi) proteggere le vittime, i loro rappresentanti, le famiglie e i testimoni da interferenze illecite con la loro privacy e da intimidazioni e ritorsioni.
Agli Stati è richiesto di garantire, attraverso modifiche legislative, che tutte le persone con attività imprenditoriali di carattere transnazionale assumano obblighi di dovuta diligenza per tutta la loro attività, e di prevedere procedure nazionali efficaci per far rispettare la conformità a tale obbligo di diligenza. La due diligence include: 1) valutazione e monitoraggio dell’impatto dell’attività di impresa sui diritti umani; 2) individuazione e valutazione delle violazioni; 3) obblighi di prevenzione; 4) relazioni da presentare circa questioni non finanziarie, comprese le questioni ambientali e in materia di diritti umani; e 5) conduzione di consultazioni significative con le parti interessate.
Per quanto riguarda l’implementazione delle norme contenute nel Trattato, si prevede che sarà istituito un comitato di esperti a cui venga affidato tale compito. Inoltre, gli Stati dovranno adottare misure legislative e amministrative per garantirne una attuazione che sia effettiva, prestando particolare attenzione alle attività commerciali svolte nelle aree colpite da conflitti nonché alle categorie di soggetti sottoposti a rischi elevati di violazione dei diritti umani nel contesto di attività commerciali, come ad esempio donne, bambini, persone con disabilità, popolazioni indigene, migranti, rifugiati.
L’entrata in vigore del trattato proposto non rivoluzionerebbe immediatamente il mondo delle imprese e dei diritti umani, ma rappresenta uno step nella giusta direzione affinché gli stati agiscano in ottemperanza dei loro obblighi giuridici per proteggere i diritti umani dagli abusi commerciali, ed allo stesso tempo incoraggerebbe le imprese a rafforzare le loro procedure di due diligence. Se ampiamente ratificato, il trattato proposto dovrebbe stimolare una proliferazione delle leggi nazionali che impongano obblighi ragionevoli alle imprese per prevenire violazioni dei diritti umani e, in caso di violazioni, migliorare l’accesso alla giustizia da parte delle vittime.